Il business dell’antifascismo: gli interessi sopra i valori e la falsa censura in Rai

Meloni pubblica il testo “censurato” e dà alla sinistra una lezione di pluralismo. Quello vero.

Fare due piccioni con una fava. Da un lato, rivitalizzare un programma dai bassi ascolti, dall’altro far rinascere nei nostalgici partigiani (i più fanatici sono quelli nati dopo la Guerra) quel sentimento che ripota in voga ogni anno, di questi periodi, la melodia di ‘Bella Ciao’. Una strategia di marketing e una mossa politica che, come spesso accade a sinistra, anche questa volta combaciano e trovano il proprio comune denominatore nella presunta censura Rai. Quale miglior periodo, allora, per aizzare la folla se non il 25 aprile, festa della Liberazione. Un concetto sotto cui ora, la sinistra, sembra reinventarsi: ieri era la liberazione dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista, oggi è la liberazione dalle presunte censure del Governo Meloni sulla Rai.

La sinistra in Rai soffre il pluralismo

Il fatto è ormai noto: i sinistri lamentano che ad Antonio Scurati, scrittore e giornalista, sia stato proibito di recitare un monologo sul 25 aprile in Rai, al programma serale del sabato su Rai3 condotto da Serena Bortone. Un allarme lanciato dalla stessa conduttrice e sul quale anche lo stesso Scurati si è fatto sentire: “Il mio pensiero su fascismo e postfascismo, ben radicato nei fatti, doveva essere silenziato”, ha fatto sapere in una lettera pubblicata questa mattina dal Corriere della Sera. Il monologo di Scurati, di circa un minuto e mezzo, era il classico accostamento del governo fascista all’attuale governo di centrodestra, la solita tiritera sul fatto che Giorgia Meloni non riuscirebbe a prendere “completamente” (cosa cavolo vorrà dire?) le distanze dal periodo fascista. E per questo, dopo che ad Antonio Scurati è stato strappato il contratto per la sua apparizione al programma della Bortone, le colpe si sono riversate tutte su Giorgia Meloni, accusata (ancora) di aver fin troppe ingerenze nella scelta dei palinsesti Rai. Come se in Italia non ci fossero già troppi problemi da risolvere a cui un Presidente del Consiglio deve pensare. E a cui dovrebbe pensare, in realtà, anche il mondo della politica tutto, piuttosto che perdersi dietro le solite questioni ideologiche e di principio. Insomma, erano passate solo poche ore dalla buona notizia della nascita di un nuovo sindacato di giornalisti in Rai, un toccasana per il pluralismo nella Tv di Stato e per la libertà di pensiero, e dunque la sinistra, quella più radical, non certo quella del mondo politico ma inevitabilmente a questa facente capo, ha dovuto di nuovo rimarcare che la Rai è di sua proprietà. Che questa innovazione del pluralismo è solo una follia. Che il pensiero unico che ha guidato per anni i palinsesti deve essere l’unica strada percorribile dalla Tv di Stato. E lo fa, ormai non più al potere e perso il favore della maggioranza degli italiani, con la giusta dose di vittimismo.

Dove c’è l’antifascismo, compaiono gli interessi

Lasciamo pure il beneficio del dubbio alla sinistra. Diciamo pure che sono ignote le cause che hanno portato alla cancellazione del monologo di Scurati. Fingiamo di non considerare le spiegazioni certificate Rai, secondo le quali l’azienda di viale Mazzini si sarebbe rifiutata di controfirmare un contratto di 1800 euro per un monologo di un minuto e mezzo. E facciamo pure finta che i casi simili degli ultimi mesi, che hanno portato la sinistra a parlare di bavagli in Rai, non siano avvenuti per altri interessi: come Fazio che, a scadenza in Rai, passa al Nove con un contratto milionario; o come la Annunziata, che molla tutto sperando in una candidatura al Parlamento europeo (ovviamente in quota Pd); o come Amadeus, che si unisce alla squadra di Discovery dopo un videomessaggio che ammutolisce chi cercava di strumentalizzare anche questo episodio. Viene fuori comunque che dove c’è antifascismo, c’è sempre una questione di interessi: questo perché parlare di quanto è stato brutto il fascismo fa ancora guadagnare, vendere libri e canzoni, riempire cinema e teatri. C’è un business che supera la questione morale o il pensiero politico, legittimato dal sistema di potere creatosi negli ultimi decenni. E ora che quel sistema vacilla dinnanzi all’affermazione non di un altro sistema (come si racconta da quelle parti) ma del pluralismo, si fa vittimismo. Spaventati dal fatto che, forse, ci potrà essere qualcuno che la pensa diversamente. “Questo è l’emblema di quello che succede alla Rai da mesi: c’è chi continua a montare il caso anche dopo le precisazioni dell’azienda” ha detto Francesco Palese, segretario di Unirai intervistato da La Voce del Patriota. “Credo – ha aggiunto – che alla base ci sia il nervosismo di una nicchia che cerca di mantenere il potere, anche perché sicuramente parlare di “TeleMeloni” non porta voti”.

La lezione di Meloni: “Chi è sempre stato censurato non chiederà mai la censura di qualcuno”

Il monologo di Scurati è andato comunque in onda. Non letto dal suo autore, ma dalla Bortone, in protesta contro la presunta censura. Ma la stessa Bortone è stata anticipata sul tempo direttamente da Giorgia Meloni: testo integrale di Scurati pubblicato su Facebook insieme a un breve commento. “In un’Italia piena di problemi, anche oggi la sinistra sta montando un caso” ha scritto la premier, sottolineando che “chi è sempre stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno. Neanche di chi pensa che si debba pagare la propria propaganda contro il governo con i soldi dei cittadini”. E poi la ragione che ha spinto Meloni a pubblicare il monologo: “Perché gli italiani possano giudicarne liberamente il contenuto”. Più pluralismo di così…

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1 commento

  1. Ciò che in Italia molti ‘intruppati’ nell’esercito rosso non hanno ancora capito (per i limiti della loro materia grigia?) o non gli fa comodo capire (per ignoranza, arroganza o preconcetto?) è che i molti elettori Italiani che hanno ideali di Ordine, Serietà, Onestà, Coerenza, Legalità, Rispetto, Amore di Patria, Democrazia, Lealtà (alcuni presenti anche nel famigerato e vituperato ventennio) NON POSSONO ESSERE TUTTI CHIAMATI FASCISTI per il solo fatto che nella storia d’Italia quegli stessi ideali -unitamente a molti altri NON CONDIVISI da questa parte di elettorato- erano perseguiti dal fascismo.
    Che ne dite se un’altra parte di elettori italiani (ora in minoranza) con idee ed ideali collimanti in tutto o in parte con l’ideologia opposta venissero chiamati COMUNISTI con toni fortemente dispregiativi ed offensivi perché questi loro ideali si rifanno al più bieco comunismo di ben triste memoria ed ancora oggi troppo attuale in molte porzioni del mondo?
    Tra i primi (ora maggioranza), nessuno -per motivi anagrafici- ha vissuto in quel ventennio e perciò NON HA MAI AVUTO E NON HA in tasca la tessera fascista, morta nel 1945 con la RSI! Così come nessun Francese si può oggi chiamare ‘sanculotto’!!!!
    Diversamente, tra i secondi (ora minoranza) molti hanno in tasca -ed in testa- la tessera comunista che -pur cambiando immagine e nome- si perpetua dal 1945 ad oggi anche se nel trascorrere dei decenni mascherata sotto spoglie, diversamente appellate e variopinte (PCI, PDS, ULIVO, PD, M5S, AVS ed altre meteore), non certo né migliore né più appetibile di quella del ventennio. L’arte del mimetismo e del trasformismo è tipica dei vigliacchi e dei codardi e di chi non ha altre buone ed intelligenti idee in zucca.
    Piantatela, idioti, con questi stupidi appellativi di FASCISTA e/o COMUNISTA: in Italia è un’altra storia e soprattutto STORIA MORTA di un secolo fa.
    Personalmente ho gli stessi ideali dei primi, ma NON SONO FASCISTA!

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