La “nostalgia canaglia” degli anni Novanta

Delle ragioni del grande successo della serie Sky sulla storia degli 883, iconica band che dagli anni Novanta in poi ha fatto ballare e cantare intere generazioni, vi abbiamo già raccontato (“Hanno ucciso l’uomo ragno”, ma non i sogni di intere generazioni). Riflettendo sull’effetto provocato in tanti non solo dalla musica di Pezzali e Repetto ma anche dal contesto in cui la stessa è nata e divenuta celebre, ci siamo chiesti come mai sia chi ha vissuto la sua giovinezza nell’ultimo decennio del secolo scorso, sia chi la sta vivendo oggi, provi tanta nostalgia per quel periodo.

I Novanta erano, tra le altre cose, gli anni del walkman e delle musicassette, del tamagotchi (ne abbiamo scritto qui: Torna di moda il Tamagotchi, croce e delizia degli adolescenti degli anni Novanta), degli squilli sui primi telefoni cellulari come saluto e affettuoso pensiero, dell’attesa alla radio della propria canzone preferita e in TV della nuova puntata della serie più amata (tra le più seguite, Twin Peaks, Beverly Hills 90210, X Files, Buffy l’ammazzavampiri, Ally McBeal, Baywatch e tante altre). Cose, gesti e momenti che la modernità ha reso quasi del tutto superati ma che, in questo periodo ipertecnologico dove la socialità e i contatti umani si vivono (purtroppo) prevalentemente on line, suscitano un certo malinconico rimpianto. 

Certamente i Novanta non sono stati tutto rose e fiori, problemi ed eventi tutt’altro che positivi ce ne sono stati eccome. E allora perché se ne parla ancora come se fossero un’epoca d’oro al confronto con la contemporaneità? Scientificamente parlando c’è chi, come Zygmut Bauman, parla di retrotopia, ovvero utopia che idealizza il passato perché è considerato più rassicurante. Secondo John Koenig, invece, il fenomeno in questione rientra nell’anemoia, che è la nostalgia per qualcosa che non si è potuto vivere in prima persona, legato – scrive Beatrice Manca su Amica – al “desiderio di evadere dal mondo reale e trovare rifugio in un passato romanticizzato che esiste solo nella fantasia”. Due prospettive diverse, entrambe utili a comprendere le ragioni del successo dei revival contemporanei dei “mitici Novanta”, con feste a tema, pagine social dedicate, film e cartoni animati riproposti all’attenzione del grande pubblico e ritorno in auge di giocattoli, videogiochi e capi di abbigliamento di quel periodo. Che sono dovuti, dunque, sia all’affetto per un passato che non si conosce direttamente, sia alla necessità di allontanarsi dal quotidiano verso giorni diversi ritenuti migliori.

Sulla questione Luca Mastrantonio sul Corriere della Sera sottolinea tra l’altro che “gli anni 90 sono l’ultima frontiera della nostalgia nella sua versione più umana”, sono “l’ultima epoca nazionalpopolare, l’ultima stagione analogica, quando il tempo era un fiume di eventi che non potevi raccontare live come si fa oggi, né accumulare nella somma senza fine di attimi immortalati in migliaia di foto e video che la nostra mente non ha la capacità di processare dunque vivere nel profondo”. E ancora: “nei cellulari abbiamo più foto che ricordi, più ricordi che emozioni, più memoria che fantasia”. Mastrantonio conclude scrivendo che “rispetto alla vertigine digitale, la nostalgia per gli anni 90 è quasi una categoria dello spirito”. Dunque il tempo perduto a cui tornare con la mente, lo si sia vissuto o meno, diventa un appiglio cui aggrapparsi per sfuggire alla frenesia della modernità e non farsene travolgere. Ed è, se si usa senza strafare e traendone la giusta ispirazione da traslare nel quotidiano, un’ottima cosa.

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Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi, due volte laureata presso l'università La Sapienza di Roma (in giurisprudenza e in scienze politiche), è giornalista pubblicista e scrittrice. Collabora con diverse testate e case editrici.

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