La ricchezza e il valore identitario della cucina italiana, oggi candidata a patrimonio UNESCO

La cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale”: così lo scorso 23 marzo la cucina italiana è stata ufficialmente candidata a patrimonio immateriale dell’Unesco. La candidatura italiana è supportata dal Comitato scientifico presieduto dal professor Massimo Montanari e approvata la settimana scorsa dal Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale Italiana Unesco, unitamente alle tre comunità de l’Accademia italiana della Cucina, Istituzione culturale della Repubblica, che vanta oltre 80 sedi all’estero, 220 in Italia e più di 7.500 accademici associati; la Fondazione Casa Artusi, fondata nel 2007 con il fine di promuovere “la cucina di casa italiana” come declinata da Pellegrino Artusi sin dalla seconda metà dell’Ottocento; e La Cucina Italiana, fondata nel 1929, la più antica rivista gastronomica al mondo ancora in edicola. A queste vanno aggiunte altri enti sostenitori della candidatura, quali Slow Food, ALMA (Scuola Internazionale di Cucina Italiana), ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e UNPLI (Unione nazionale Pro Loco d’Italia).

Tale candidatura rappresenta un traguardo significativo e che in un periodo come questo, dove si sente sempre più spesso parlare di cibo sintetico e di alimenti con farine di grillo, vuole ricordare come la cucina del nostro paese sia tra le migliori al mondo e di come essa sia allo stesso tempo sostenibile e culturalmente rilevante.

“La cucina italiana non è solo cibo o un semplice ricettario ma un insieme di pratiche sociali, abitudini e gestualità che portano a considerare la preparazione e il consumo
del pasto come momento di condivisione e incontro. E’ il rito collettivo di un popolo
che concepisce il cibo come elemento culturale identitario.”

Il cibo italiano significa dunque identità che, come dichiarato in una recente intervista da Maddalena Fossati, direttore de La Cucina Italiana, è “un’identità fortissima”. Perché in Italia cucinare non significa solamente impegnarsi nella preparazione di un pasto, ma è un vero e proprio rito, ed è un modo di prendersi cura degli altri, creando un momento di condivisione e di interazione.

La cucina italiana è un elemento che non accomuna solamente gli italiani che vivono nella penisola, ma anche gli oltre 80 milioni di italiani all’estero, che attraverso quei sapori ritrovano il sapore di casa e della tradizione.

Ma il cibo per il nostro Paese è anche un motore per il turismo, tanto che si può a ragione parlare di uno sviluppato turismo enogastronomico italiano. La ricchezza, la qualità e l’unicità dei prodotti italiani è un forte richiamo per quanti vogliano assaporare appieno l’esperienza italiana. Del resto, non si può visitare l’Italia senza assaggiare il suo cibo, dalla carbonara alla pizza, dai formaggi ai salumi, dai pizzoccheri alla cassata.  Ogni regione e addirittura ogni città possiede un suo personale e irripetibile patrimonio alimentare che la rende speciale e che necessita di essere tutelato e tramandato.

Ed è proprio per valorizzare e tutelare l’italianità, che ritroviamo nei piatti che quotidianamente mangiamo, che occorre impegnarsi a promuovere quanto più possibile questa candidatura, il cui iter proseguirà fino al 2025.

Perché promuovere la cucina italiana e renderla patrimonio dell’Unesco significa anche promuovere l’Italia, la sua identità storica e culturale.

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