“L’underdog Hitler: la “pancia” e quegli inizi così simili a oggi”: questo il titolo di un articolo del professore, storico d’arte e rettore dell’Università per stranieri di Siena Tomaso Montanari pubblicato dal Fatto Quotidiano. Uno dei radical chic che ha sempre la critica pronta per il governo. Uno che, per capirci, da massimo sostenitore degli arrivi incontrollati a colpi di buonismo, fu costretto poi a fare dietrofront quando nella sua università dovette bacchettare alcuni rifugiati pachistani che tenevano “comportamenti indecorosi nei confronti di studenti e studentesse”. Ma il prof subito ricostruì la sua reputazione quando, sempre dalle colonne del Fatto Quotidiano, diede della “vecchia bagascia” alla nostra Nazione.
L’upgrade: da fascista a nazista
Ora la critica del rettore al governo è partita direttamente da Adolf Hitler, superando l’ormai trito e ritrito paragone con Benito Mussolini. Il pezzo doveva essere una recensione allo spettacolo di Stefano Massini, il “Mein Kampf”. Ma il paragone, malgrado il secolo di distanza, è tutto con i nostri giorni: per Montanari gli inizi del dittatore sono gli stessi inizi di leader della destra di oggi. “Hitler capisce che paura e rabbia sono la chiave” scrive, e dopo aver riportato diverse citazioni del nazista (“Non è la loro testa che devi conquistare – dice Adolf a sé stesso – non è lì che puoi farli innamorare. Nel petto, nello stomaco, nelle viscere, dove l’istinto regna incontrastato. La tua rabbia, che è la mia, il tuo orgoglio, la tua paura, la tua frustrazione, il dolore, la sconfitta che ho vissuto come te anch’io”), il prof arriva alla sentenza finale: “Alla fine, si esce sconvolti: perché noi le conosciamo, le ascoltiamo tutti i giorni, queste parole. Sono quelle dei Trump, Milei, Orbán, Salvini, Meloni, Vannacci: dopo un secolo, la retorica con cui l’estrema destra arriva al potere è esattamente la stessa”. A parte la grande semplificazione sui vari leader citati, appiattiti nelle loro diverse storie personali e nelle loro diverse ascendenze e aspirazioni politiche, davvero Montanari vede una somiglianza tra il Fuhrer e la Meloni. Perché è lei il vero bersaglio. E lo si capisce chiaramente dal soprannome utilizzato: l’underdog, il sottovalutato, Hitler nel 1919 come Meloni nel 2022. L’underdog, il soprannome usato per la premier durante le votazioni del settembre di quell’anno, che l’hanno portata alla vittoria elettorale.
L’analisi si focalizza sulla comunicazione, sull’utilizzo di slogan, sull’utilizzo della paura e l’identificazione dei cattivi nei “benestanti”: “Sono le stesse – chiosa Montanari – anche le colpe di noi benestanti, che ascoltiamo tutto questo ancora sprofondati nei palchi di un teatro. Anche chi è convinto che lo sviluppo della storia sarà completamente diverso, dovrebbe interrogarsi sul fatto che l’inizio è dimostrabilmente, terrificantemente, identico. Possiamo scegliere di non vederlo: ma è tutto lì, in quegli 85 minuti”. Rinchiusi in teatri e in salotti, la sinistra si è afflosciata, questo non può essere negato. Ma più che un inesistente pericolo fascista (anzi, l’upgrade: nazista), la sinistra non vede in realtà i veri problemi dei cittadini, dei giovani, degli anziani, delle donne e degli uomini. E malgrado ciò, tutto sommato, la sinistra non sembra alla fine del tutto inerte: basta vedere come stanno reagendo gli estremisti all’invito alla “rivolta sociale”.
Si stanno evolvendo! Da Mussolini a Hitler. Ora siamo in attesa dell’ultimo passaggio; da camice nere a SS.
Forza professore, storico ad arte, ci facciai ridere ancora.