Roberto Saviano è rimasto pressocché in silenzio, negli ultimi mesi, quando il Governo Meloni metteva in campo il massiccio ritorno di Caivano allo Stato e alla legalità. Le poche uscite che cercavano di rimarcare una sua presunta egemonia culturale sul mondo dell’antimafia venivano puntualmente smentite non solo dai fatti, ma anche e soprattutto dalle parole di chi sta vivendo in prima persona quel cambiamento, don Maurizio Patriciello. In ogni caso, lo scrittore è stato sostanzialmente in silenzio quando, per ultimo, il governo ha cacciato da Caivano i camorristi che occupavano abusivamente degli alloggi arredandoli, tra le altre cose, con quel pessimo gusto fintamente barocco che dilaga in una certa fascia della popolazione. Tanto che la stessa premier, Giorgia Meloni, dal palco di Atreju aveva fatto notare questa discrepanza: “Abbiamo buttato fuori i camorristi che occupavano le case popolari a Caivano e anche qui i complimenti dei guru dell’antimafia alla Roberto Saviano li aspettiamo domani, fosse mai che non ci sia più nulla su cui fare una serie televisiva milionaria”.
La stessa retorica di sempre
Ma Saviano non se l’è sentita di lasciar correre e a Otto e Mezzo, ospite di Lilli Gruber, ha risposto: “Mi hanno colpito sia i toni che i contenuti di Meloni. Ogni anno c’è un appuntamento contro di me ad Atreju. I toni sono pesanti perché c’è una strategia precisa: quella di rendere in questo caso uno scrittore ma molto spesso un giornalista o un intellettuale un rivale politico”. Stessa retorica di sempre: il governo che vuole mettere a tacere gli intellettuali. Ma Meloni ad Atreju ha detto l’esatto opposto: perché gli intellettuali non parlano quando le cose vanno meglio?
Il problema è che Saviano stenta proprio a riconoscere tali risultati: “La descrizione di Meloni su Caivano è stata imprudente, perché quanto dice non è quello che è accaduto. Caivano ha avuto un centro sportivo. Non c’è un investimento sul lavoro, e quello in nero continua ad essere la grande piaga di Parco verde e di gran parte del Sud”. E ancora la furia del guru si abbatte su Caivano: “Sono state liberate 36 case su oltre 120. Ma il dettaglio è un altro: il sistema camorra è intatto; ma lo sbandierano come una vittoria. Il decreto Caivano ha riempito le carceri minorili rendendole satolle”. Meno camorristi che occupano un alloggio e per i minori che crescevano in una realtà circoscritta che non ti permette di uscirne, la possibilità di una riabilitazione e di un ritorno alla società civile. Ma per Saviano non va bene.
“Saviano, tu non sei mai tornato”
Insomma, il guru dell’antimafia si lamenta delle parole di Meloni nel metodo e nel merito. Nel metodo, la premier non dovrebbe arrogarsi il diritto di rivendicare i risultati politici del suo governo né tantomeno dovrebbe permettersi di criticare i suoi oppositori sulla base delle loro fake news, perché si sa, Meloni è di destra e resta il figlio di un dio minore a cui va recriminato tutto. Nel merito, invece, Meloni direbbe delle menzogne su Caivano. Ma così facendo, Saviano ammette indirettamente che perfino Patriciello starebbe dicendo fesserie. Non sarebbe vero che “da un anno lo spaccio non funziona”. Sarebbero soltanto illazioni frasi del tipo: “Quello che è successo, in un anno e due mesi, è sotto gli occhi di tutti” oppure “la gente ora respira, vive tranquilla”. Dà forse fastidio la verità, quella raccontata dallo stesso parroco in una lettera indirizzata proprio allo scrittore: “Caro Roberto, sono passati quasi 20 anni da quando – sconosciuto giornalista – venisti al ‘Parco Verde’ per scrivere dell’omicidio di un nostro ragazzo di 15 anni. Quel racconto finì nel tuo libro Gomorra. Da allora – lo sai bene – ti ho invitato tante volte a ritornare. A dare voce alle nostre voci. Non lo hai mai fatto. Non sei mai venuto”. Invece: “ Il presidente del Consiglio dei ministri della nostra Repubblica, l’ anno scorso, ha accolto il mio invito. È venuta. È ritornata”. E il cambiamento si è visto. Gli slogan appartengono a qualcun altro.