Nel mondo contemporaneo, quando si parla di guerra, troppo spesso ci si immagina ancora un teatro di operazioni fatto di trincee, bombardamenti e armi convenzionali. Ma chi osserva con attenzione i bilanci pubblici e le bilance dei pagamenti sa bene che la vera guerra del nostro tempo è quella combattuta sui mercati finanziari. Una guerra che non si vede, ma si percepisce nei tassi d’interesse, nei movimenti di capitali, nelle riserve valutarie che evaporano e nei titoli di Stato che, da strumenti tecnici, si sono fatti strategici. Siamo entrati nell’era della “finanza di guerra”, dove non vige più la logica del libero mercato, ma quella del comando strategico, e le banche centrali diventano organi operativi dei governi. Come in una gigantesca partita di Risiko, la mappa non è più geografica, ma monetaria, e i confini non sono segnati da trincee, ma da chi detiene il tuo debito.
- La mappa globale delle posizioni finanziarie: chi deve a chi
Primo dato ineludibile: il debito sovrano mondiale ha superato, nel 2024, i 307 trilioni di dollari secondo l’Institute of International Finance (IIF), pari a circa il 337% del PIL globale. Gli Stati Uniti guidano questa classifica con circa 34,8 trilioni di dollari di debito federale, di cui 9,05 trilioni detenuti da investitori esteri. Al vertice dei detentori:
Giappone: 1.130,8 miliardi di dollari
Regno Unito: 779,3 miliardi
Cina: 765,4 miliardi
Lussemburgo: 355,4 miliardi
Canada: 306,5 miliardi
Eppure, il punto non è tanto l’ammontare, quanto il rapporto reciproco. Il Giappone, ad esempio, è contemporaneamente il primo detentore di Treasury USA e il secondo Paese al mondo per debito pubblico interno, con una cifra che nel 2024 ha superato i 10,4 trilioni di dollari (quasi il 260% del suo PIL). Gli Stati Uniti, a loro volta, detengono porzioni rilevanti di debito giapponese, europeo, sudamericano.
Le economie si prestano a vicenda denaro, ma ogni prestito è una leva. Un’arma. Una forma di influenza.
- I BRICS: chi esce dal gioco USA e chi ci rientra
In questo Risiko finanziario, i Paesi BRICS stanno giocando una partita parallela.
Cina: da oltre 1.300 miliardi di dollari in Treasury nel 2010 a 765 miliardi nel 2025. Non è solo una dismissione: è una strategia. La Cina ha aumentato le riserve in oro, che hanno superato le 2.300 tonnellate ufficiali nel 2024, e ha incrementato le posizioni in obbligazioni africane, mediorientali e latinoamericane.
Russia: dopo essere stata tra i primi 10 detentori di debito USA, ha praticamente liquidato tutte le posizioni entro il 2018 (meno di 10 miliardi nel 2022). In cambio, ha raddoppiato le riserve aurifere (oltre 2.000 tonnellate nel 2024) e ha avviato l’internazionalizzazione del sistema MIR e del circuito SPFS come alternativa a SWIFT.
India: in controtendenza, ha aumentato le detenzioni in Treasury da 207 miliardi nel 2023 a 239,9 miliardi nel 2025. Ma contemporaneamente ha triplicato le riserve in yuan e ha firmato accordi bilaterali con l’Arabia Saudita, il Sudafrica e l’Egitto per compensazioni commerciali in valuta locale.
Brasile: da 227 a 202,9 miliardi in Treasury USA tra 2024 e 2025, con una strategia più bilanciata. Lula ha rilanciato la proposta di una “valuta dei BRICS”, ancorata a un paniere di materie prime.
Sudafrica: detiene circa 18 miliardi di dollari in titoli USA, ma la South African Reserve Bank ha già dichiarato l’intenzione di ridurre l’esposizione a rischio sovrano estero a vantaggio di titoli regionali (Nigeria, Angola, Mozambico) e asset reali.
- La sovranità finanziaria come nuova arma strategica
L’era post-Bretton Woods aveva consacrato il dollaro come moneta mondiale. Ma ogni egemonia crea le sue contromisure. Le sanzioni economiche contro la Russia, e l’esclusione dal sistema SWIFT, hanno avuto l’effetto di accelerare la dedollarizzazione. Non è un caso che tra 2022 e 2024 la quota di scambi globali in dollari sia scesa dal 88% al 78% secondo la BIS, mentre gli scambi in yuan sono saliti al 7,5% (erano appena l’1,9% nel 2015).
Ma ancora più rilevante è la svolta istituzionale: sempre più Stati gestiscono direttamente le emissioni e gli acquisti di titoli pubblici attraverso fondi sovrani e banche centrali. Non più investitori privati, ma governi. Non più mercato, ma strategia. In Russia, il Fondo Nazionale di Ricchezza ha acquistato direttamente obbligazioni OFZ nel marzo 2022 per oltre 1 trilione di rubli. In Cina, la PBOC agisce sotto il controllo diretto del Consiglio di Stato. In Turchia, la banca centrale ha emesso titoli per finanziare l’acquisto di materie prime sotto embargo.
- Le banche centrali: da “guardiani dell’inflazione” a “uffici operativi di Stato”
La Banca Centrale Europea è, in teoria, indipendente. Ma nei fatti, tra il PEPP e il PSPP, ha acquistato oltre 4.000 miliardi di euro di titoli pubblici tra il 2015 e il 2022, di cui 734 miliardi solo italiani. In USA, la Federal Reserve ha comprato più del 25% del debito netto emesso tra 2020 e 2021. In Giappone, la BoJ è ormai il maggiore acquirente di titoli pubblici, detenendone oltre il 50%.
In una finanza di guerra, la banca centrale non difende il cambio, ma sostiene lo sforzo pubblico. È un’economia di comando mascherata da tecnocrazia.
Conclusione: fine del libero mercato, ritorno alla sovranità
Se il libero mercato è stato l’illusione del Novecento, la finanza di guerra ne è il risveglio brutale. In questo nuovo scenario, ogni Stato diventa contemporaneamente emittente, acquirente, prestatore e stratega. I titoli di Stato, lungi dall’essere meri strumenti di debito, diventano leve di potere. La moneta non è più solo un mezzo di scambio, ma un’arma diplomatica. Le banche centrali non decidono i tassi, ma seguono ordini di governo.
Siamo di fronte a una rivoluzione silenziosa: la trasformazione del sistema finanziario globale da libero a gerarchico, da competitivo a strategico. Un risiko in cui ogni Stato muove le sue pedine monetarie con la consapevolezza che, prima ancora che sui campi di battaglia, il conflitto si decide nelle sale del Tesoro. E la vittoria non è nel saldo primario, ma nel controllo del sistema.