Ma davvero c’è qualcuno così ingenuo che, scoperchiato il calderone, ora si meraviglia degli intrallazzi del potere giudiziario italiano? Davvero c’è qualcuno che è rimasto “allibito” davanti alle intercettazioni in cui esponenti del PD stabilivano con potenti PM a chi assegnare importanti procure? Se sul serio c’è gente che “mai avrebbe immaginato” allora vuol dire che negli ultimi 50 anni è vissuta lontana dall’Italia, dai suoi casini, dai suoi scandali. Che niente ha mai saputo di “giustizia ad orologeria”, di avvisi di garanzia che arrivavano al top dei poteri dello Stato nei momenti più sbagliati, salvo poi rivelarsi delle bufale, di macchine di servizio spedite da sud a nord, e poi di nuovo a sud con l’arrestato di turno, un nobile che fa scalpore, che si doveva arrestare quel giorno o mai più e siccome c’era uno sciopero dei treni, allora… e poi, anche lì, un nulla di fatto. Erano illazioni, fatti che non sussistono. Ma quanto sono serviti allo scopo? Tanto! E poco importa se alla comunità sono costati miliardi di vecchie lire o milioni di euro.
Carriere politiche rovinate in una notte con un avviso di garanzia che viene ricevuto prima nelle redazioni dei giornali che dal diretto interessato, anni di gogna mediatica, di processi costosissimi, per scoprire poi che di niente di è parlato. Troppo facile così, talmente facile che negli ultimi 10 anni è stato il modo con cui tutti o quasi hanno fatto politica. In primis, i 5 stelle, il nuovo partito dei giudici, coi suoi sgherri sul modello di Marco Travaglio pronti a crocifiggere nell’ignominia chiunque non sia dei loro, e salvare anche con assurdità gli “amici sfortunati” beccati con le mani nella marmellata.
A questo punto, però, chi ha assistito a tante brutture per anni senza poter dire o fare nulla, non resta che lasciarsi andare a un profondo sospiro di soddisfazione: allora è vero che Dio c’è! E stavolta si è palesato non sotto forma di un povero bimbetto nato in una stalla, ma nell’informativa del Gico della Guardia di Finanza, pagine e pagine di brutture, di accordi sottobanco, operazioni e intrallazzi, tutti volti all’ottenimento del potere vero, quello che in Italia non ha bisogno di passare per le urne.
Quello che fa riflettere è come si sia arrivati a certe scoperte. Qualche piccolo, oscuro meccanismo deve essersi bloccato, e aver causato questa terribile implosione. Nata, va detto, con un invisibile trojan inserito nel sistema del cellulare di Luca Palamara, il pm più potente e più inguaiato di tutta l’inchiesta. Ma perché quel trojan è stato messo lì? Perché qualche collega di Palamara ha iniziato a indagare sul leader della corrente centrista di Unicost, riguardo ad alcuni viaggi e utilità che proprio Palamara avrebbe ricevuto dall’imprenditore Fabrizio Centofant? Insomma, alla luce di come va il mondo e della famosa autonomia della magistratura, si potrebbe dire “una cortesia tra amici e colleghi”.
Così, il programmino pirata piazzato in quel telefono per scoprire piccole ed eventuali nefandezze che probabilmente non avrebbero scandalizzato nessuno, finisce nel terreno acquitrinoso delle “nomine”. Chi va dove… e non si parla di gestione dei villaggi Valtour – cosa pure complicata – ma della direzione delle maggiori procure d’Italia, posti come Roma, Napoli, Perugia e via discorrendo.
Il botto è talmente forte che ne fa le spese anche il presidente del potentissimo sindacato di categoria ANM, Pasquale Grasso, costretto a dimettersi, mentre al suo posto viene spedito Luca Poniz, magistrato di sinistra, magari in grado di far dimenticare che nelle tavole rotonde in cui si stabilivano le famose nomine partecipavano due esponenti della sinistra, Luca Lotti – il chiacchierato amico di Renzi, ex ministro – e Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa e influente esponente di Magistratura indipendente.
Questi “quattro amici al bar” si riuniscono l’ultima volta a Roma, il 9 maggio scorso, e proprio della procura di Roma devono parlare. Il gradimento di tutti sembra inquadrare Marcello Viola, che interessa molto Palamara. Quest’ultimo nelle intercettazioni dice di voler provocare “discontinuità” dalla gestione di Giuseppe Pignatone. Intanto, Lotti, che tra l’altro è imputato nel caso Consip ed è stato rinviato a giudizio per favoreggiamento, sembra più interessato ad avere alcuni dossier contro Paolo Ielo, il Pm che si occupa di lui. Un pensiero speciale gli amici sembrano averlo anche per Giuseppe Creazzo, il procuratore di Firenze che ha fatto arrestare qualche mese fa i genitori di Matteo Renzi. Chissà se si riesce a trovare qualcosina che possa fregare anche la sua candidatura?
Il settimanale L’Espresso, dove pare abbiano avuto modo di leggere le intercettazioni del GIco, scrive testualmente: “ricatti incrociati, minacce, veleni, dossieraggi contro i nemici. Fughe di notizie, e un uso strumentale dei giornali. Condotte che per qualcuno (a oggi il fascicolo sulle nomine non ha indagati, ma sono una dozzina i magistrati finiti nel fango etico dell’inchiesta di Perugia) potrebbero essere al limite dell’eversione.” A voler dare credito a tutto ciò, una situazione che peggio non si potrebbe. E sempre secondo l’Espresso, sono gli stessi protagonisti a definire la situazione, come quando Palamara – che forse comincia a temere di essere stato intercettato, dice: “Se mi intercettano, diranno che sono la P5”.
E questo è solo l’inizio.