Trattato del Quirinale, gli accordi tra Italia e Francia che nemmeno il Parlamento conosce.

Cui prodest? Potrebbero danneggiarci.

Nel marzo 2018 la stampa italiana riportava la notizia che la Francia, a seguito degli accordi di Caen del 21 marzo 2015, stretti con il Governo Renzi ma mai ratificati dal Parlamento italiano, aveva deciso di procedere ad attuare unilateralmente quanto previsto dal trattato, che assegnava parti delle acque territoriali della Sardegna, della Toscana e della Liguria al Paese d’oltralpe. Acque ricche di pesce, ma anche di risorse naturali, con un potenziale ingente danno economico per l’Italia, oltre che uno schiaffo alle prerogative ed alla sovranità nazionale.

Giorgia Meloni denunciò all’epoca, pubblicamente, quanto stava accadendo e, di conseguenza, intervenne la Farnesina per chiarire che il trattato non avrebbe avuto alcuna validità fino alla ratifica.  Per fortuna, grazie all’azione di Fratelli d’Italia, scongiurammo che la Francia mettesse le mani sulle nostre risorse.

Tra Italia e Francia si discute, inoltre, da tempo della stipula di un accordo che miri a legare saldamente le politiche dei due Stati, in materie fondamentali di politica interna ed estera, come la gestione dei flussi migratori, il controllo dei confini, lo sviluppo dell’industria e del commercio, la gestione comune nel settore digitale, le politiche sull’ambiente, lo sviluppo sociale, i rapporti con l’Europa. È il cosiddetto Trattato del Quirinale, un vecchio progetto, voluto ai tempi del Governo Gentiloni che ora, dopo gli incontri del G20 a Roma, sembra sempre più vicino alla firma.

A parlarne, sulle pagine di Repubblica, è Sandro Gozi, l’ex Sottosegretario agli Affari Europei del Governo Renzi, oggi eurodeputato eletto in Francia con il partito di Emmanuel Macron, La Republique En Marche. Un fatto non da poco, in termini di strategia (e regia) politica. “Abbiamo un destino comune, che si tratti di Libia, Africa, immigrazione, grandi progetti industriali. Se ci mettiamo in competizione tra noi siamo perdenti”, ha detto Gozi nell’intervista. “Una parte importante del trattato riguarda l’integrazione della difesa e lo sviluppo di una visione comune”.

Nelle scorse settimane, Italia e Francia si sono riunite di nuovo intorno ad un tavolo per discutere del testo definitivo dell’accordo. Macron, in grave difficoltà nel Mediterraneo, ne ha bisogno per garantire alla Francia una supremazia sull’area che sta rapidamente perdendo. È, infatti, sotto gli occhi del mondo l’incapacità francese di giocare una partita vittoriosa in Libia, dove oggi le carte migliori sono in mano alla Turchia di Erdogan.

La Verità, quotidiano nazionale diretto da Maurizio Belpietro, ha lanciato l’allarme su alcuni presunti passaggi della nuova versione del trattato. In primis sembra che alcune azioni, previste nelle intenzioni dei due Paesi, si sovrappongano ad accordi già esistenti, sia a livello europeo che a livello internazionale. Tra le principali materie confliggenti, emerge sicuramente la difesa. Come sottolineato da La Verità, infatti, bolle in pentola la creazione di una intelligence italo-francese e la realizzazione di missioni militari comuni nel sud del Mediterraneo, che andrebbero a mettere in difficoltà il progetto di creazione di un esercito europeo da strutturare nell’ambito del sistema NATO, sul quale sembra che anche il Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden si sia già espresso favorevolmente.

Altresì, alla luce di quanto emerso, una riflessione seria e doverosa è quella che riguarda il futuro dell’Europa. Come sottolineato da La Verità, infatti, viene da chiedersi quale idea abbiano del processo di integrazione coloro i quali intendono privilegiare i rapporti bilaterali tra due Stati (e non certamente poco importanti, trattandosi in primis di Paesi fondatori e poi della seconda e terza economia dell’Unione Europea) piuttosto che le relazioni multilaterali di respiro comunitario. Sarà accettabile per gli altri Stati membri un rapporto privilegiato tra Italia e Francia? E quale sarà la reazione tedesca? Gli interrogativi (e le incertezze) sono molti, e non di poco conto. Rispetto a questo accordo, dunque, dobbiamo chiederci cui prodest?

Fondamentale per “l’indipendenza” dell’Italia dalla Francia sarà anche l’elezione del Capo dello Stato. Ad oggi, ad esclusione di Mario Draghi, atlantista convinto e molto vicino alle élite americane, gli altri possibili candidati a salire al Colle, da Letta a D’Alema, da Prodi a Gentiloni, tutti insigniti della Legione D’Onore della Repubblica francese, hanno rapporti strettissimi con il Paese d’oltralpe.

In “Io sono Giorgia”, best seller edito da Rizzoli, Giorgia Meloni scrive che “quando una nazione di media potenza vive una fase di debolezza – è purtroppo il caso dell’Italia dal 2011 a oggi – è giocoforza sottoposta alle ingerenze degli Stati vicini. Questo crea, all’interno di quella nazione in difficoltà, un confronto politico tra chi reputa che sia meglio collaborare con il vicino ingombrante e porsi in una prudente posizione di subordinazione, e chi invece rivendica la piena sovranità e indipendenza della nazione”.

Parole quasi profetiche, se si pensa a quanto sta accadendo in questi mesi. “Semplificando”, continua la Meloni, “da una parte il PD, partito «collaborazionista» delle ingerenze straniere, dall’altra Fratelli d’Italia, il movimento dei patrioti. E sono convinta che sarà sempre più questo il bipolarismo dei prossimi anni in Italia. Già, perché in fondo la sinistra, ma non solo lei, pensa che gli italiani non siano in grado di «rigare dritto» da soli, e che per questo serva una sorta di azionista occulto con diritto di veto sulle scelte nazionali che ci insegni come redimerci dai nostri atavici peccati. Ecco, io non sono d’accordo. Credo che i nostri dirimpettai siano troppo precisi nell’occuparsi dei propri interessi nazionali per rivolgere un aiuto sincero e non viziato dal loro egoismo alle nostre alterne vicende. Credo che gli unici che possano tirare fuori l’Italia dalla sua difficile situazione siamo noi italiani, con un po’ di rinnovato coraggio e amor proprio”.

Sempre dalle pagine del suo libro, la Meloni aveva fatto scattare l’allarme proprio sulle relazioni tra Italia e Francia, in particolare sulla svendita degli asset strategici ed infrastrutturali italiani ai colossi francesi. “Non sarà sfuggito a chi segue attentamente le dinamiche economiche dell’UE che da anni la presenza francese nel tessuto produttivo italiano si è rafforzata, andando a occupare ruoli di primo piano anche nelle aziende e nelle infrastrutture strategiche, di recente assumendo anche il controllo della Borsa italiana” aveva scritto il Presidente di Fratelli d’Italia. Sono, in effetti, quasi 2000 le imprese italiane oggi controllate da proprietari francesi. Dalla metà degli anni ’90, i francesi hanno investito nell’acquisto di aziende italiane circa 100 miliardi di euro. Gucci, Brioni, Pomellato, Bottega Veneta, Bulgari, Loro Piana, Luxottica, alcuni dei grandi marchi del Made in Italy finiti nelle mani dei cugini d’oltralpe. Quote francesi ci sono in Telecom Italia (circa il 24% dell’azionariato), in Edison (in cui la francese EDF detiene il 98% del capitale sociale), in ACEA (tramite GDF Suez, che detiene il 23% del gruppo energetico).

La Francia ha fatto shopping anche nel mondo bancario: dal 2006 Bnp-Parisbas controlla la Banca Nazionale del Lavoro; Crédit Agricole nel 2007 acquista Cariparma e Banca Popolare Friuladria. Ultimo, ma non certo per importanza, il caso FCA. Dalla fusione tra FCA e PSA, azienda compartecipata dal Governo francese, è nata Stellantis, il quarto produttore mondiale di automobili. Un saccheggio, lo ha definito Giorgia Meloni, “dell’Italia, delle nostre aziende, dei nostri posti di lavoro, delle nostre infrastrutture strategiche, della ricchezza da noi prodotta, dei nostri interessi internazionali”.

Il patto segreto tra Italia e Francia, su cui sembra dunque si stia spingendo l’acceleratore, potrebbe essere firmato già entro la fine dell’anno, secondo quanto riportato da Maurizio Belpietro. “Contiene trappole potenzialmente devastanti per la nostra industria, per il commercio, per la difesa e pure per i confini. Flussi migratori compresi. Rischiamo di avere una polizia di confine condivisa senza sapere bene a quali obiettivi risponde e che logiche dovrà seguire”, dice il direttore de La Verità, e prosegue sostenendo che “la grande distrazione di massa della legge Zan sta consentendo di far passare inosservato un accordo che rischia di danneggiarci”.

È fondamentale, a questo punto, chiedere a gran voce di fare chiarezza sugli obiettivi di questo trattato e sui benefici per l’Italia poiché, ad oggi, nessuno sa bene quale sia la posta in gioco.

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1 commento

  1. Interessante. Sono un cittadino italo-francese, di destra. E’ vero che la Francia cerca sopratutto a difendere i propri interessi. Ma immagino che lo sia altrettanto per l’Italia e vi posso assicurare che oltralpe ci si lamenta anche dell’acquisto di aziende francesi da parte di aziende italiane.
    Ma fondamentalmente, la domanda è questa : se l’Italia e la Francia non si avvicinano, non sarebbero i cinesi a ricomprarsi le aziende italiane?

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