Sulla risoluzione del conflitto in Ucraina, l’Italia può contare sicuramente sulla sua coerenza, che l’ha certamente contraddistinta in questi anni. E può contare soprattutto su un buon uso delle ‘armi’ diplomatiche da parte di Giorgia Meloni. Un uso ragionato e mai impulsivo, capace di fare gli interessi della Nazione e anche dell’Europa tutta, in modo tale da riuscire a difendere l’Ucraina aprendo però le porte a possibili soluzioni risolutive. Soluzioni che – bene si capisce il perché – non potevano certamente contemplare la ritirata delle truppe di Kiev: sarebbe stato un segnale di debolezza che l’Occidente tutto avrebbe pagato a caro prezzo nei tavoli delle trattative, vanificando gli sforzi ucraini e aprendo le porte allo Zar e alle sue mire espansionistiche verso l’Est europeo.
La soluzione è un’altra: difendere l’Ucraina ma dialogare, ripudiando tutte quelle reazioni impulsive che avrebbero significato un sacrificio immenso per gli europei senza però risultati positivi. Si pensi, ad esempio, alla proposta di Inghilterra e Francia, formulata nelle scorse settimane, circa il possibile invio di truppe al confine tra Russia e Ucraina. Risposta netta di Meloni: un no secco. “L’invio di truppe italiane in Ucraina – scandisce enfaticamente la premier in Parlamento – è un tema che non è mai stato all’ordine del giorno, così come riteniamo che l’invio di truppe europee – proposto in prima battuta da Regno Unito e Francia – sia un’opzione molto complessa, rischiosa e poco efficace”. Ci si esporrebbe a un rischio enorme – ricevere e dover rispondere a un attacco russo – senza però dare adeguate garanzie di difesa.
Invio truppe Onu e articolo 5 per Kiev
All’ultimo Consiglio europeo, il ventaglio di soluzioni presentato dai leader europei è risultato ampio. E, messe da parte le possibili strategie sugli riarmo europeo, le soluzioni a quanto pare si distinguono in diverse categorie: la prima, quella sostenuta anche dall’Italia e che ha ottenuto il favore di altri Stati europei, come la Francia, è l’invio di truppe Onu, e non europee, al confine tra Ucraina e Russia, per sorvegliare sul rispetto delle clausole di un futuro accordo tra i due Paesi. Ci sarebbe poi il possibile invio di truppe europee, su cui Meloni ha già espresso svariate volte la sua contrarietà. Restano ferme altre proposte italiane. Su tutte, quella del possibile coinvolgimento della NATO. In Parlamento Meloni ha chiarito i contorni della proposta, che “prevede l’attivazione di garanzie di sicurezza, tra l’Ucraina e le Nazioni che intendono sottoscriverle, sul modello del meccanismo previsto dall’articolo 5 del Trattato NATO, senza che questo implichi necessariamente l’adesione di Kiev all’Alleanza Atlantica”. Un’ipotesi che – chiarisce Meloni – non prevedere “l’automatica entrata in guerra in caso di aggressione di uno Stato membro”, piuttosto “l’assistenza alla Nazione aggredita con l’azione che si reputa più necessaria. Il ricorso all’uso della forza è una delle opzioni possibili, ma non è l’unica opzione possibile”. Sarebbe certo una scelta di buon senso, capace di rispettare anche le volontà russe (che, in un accordo, vanno prese in considerazione) senza però retrocedere sul fronte europeo. Anzi. “Le garanzie di sicurezza restano la chiave di volta di qualsiasi ipotesi di pace duratura in Ucraina e in Europa, e rappresentano anche il modo migliore per costringere la Russia a giocare a carte scoperte: se non è nelle intenzioni di Mosca procedere in futuro a una nuova invasione, quale sarebbe il motivo di un’opposizione a garanzie di sicurezza solo difensive?”. Fondamentale, in ogni caso, l’aderenza all’alleanza atlantica: “Non è immaginabile costruire garanzie di sicurezza efficaci e durature dividendo l’Europa e gli Stati Uniti”.