Bufale e fake news: la campagna elettorale della sinistra intasata da balle inventate

Chiamatele bufale, chiamatele balle, chiamatele fake news. Chiamatele nel modo che preferite. Quello che rileva è che la sinistra ne debba inventare di nuove quasi a cadenza giornaliera. Una vera e propria necessità, l’ultima spiaggia davanti a un mondo con poche certezze per gli esponenti del ramo rosso delle Camere, infruttiferi produttori di idee ormai da anni. Rispondere per partito preso, si potrebbe dire per ripicca, in modo ideologico, senza particolari intenti dialogici con gli avversari come taluni argomenti richiederebbero. Pare, peraltro, che molto spesso la narrazione della sinistra ruoti costantemente intorno allo stesso identico racconto, quello della deriva fascista, quasi solo per aver il pretesto giusto per ribadire la sua “ascendenza” antifascista. Racconto che, in base all’argomento e all’ambito, viene declinato in modo diverso. Esempi: in Rai c’è la censura? Il governo odia la libertà di informazione perché è fascista! In Parlamento si discute della riforma del premierato? Il governo vuole distruggere la Costituzione perché è fascista! E così via, verso un universo indefinito fatto di chiacchiere da bar, accuse pretestuose, sordità verso le risposte degli avversari e cecità davanti alla realtà dei fatti.

La precarietà non è in aumento

Partiamo dall’economia, materia in cui il governo sta superando tutte le sfide a pieni voti, raggiungendo obiettivi e cifre che mai si erano raggiunte prima. A partire dall’occupazione record, mezzo milione di posti di lavoro nel 2023. Numeri dinnanzi ai quali la segreteria del PD Elly Schlein proprio non riesce a placarsi: la sua tesi è quella che il precariato è in aumento, i posti di lavoro saranno pure aumentati (talvolta la sinistra è riuscita pure a negare l’evidenza dei numeri) ma non conta, perché si tratta di carta straccia e di contratti a breve termine. Andiamo per gradi. Il Governo Meloni ha raggiunto vari risultati: record di occupati, disoccupazione ai minimi e progressivo avvicinamento agli standard comunitari, a quel 70% che in media è il livello occupazionale delle big europee. L’Italia è cresciuta negli ultimi mesi fino al 63%, ma consideriamo che ai tempi dei governi Letta e Renzi, nel 2015, il dato non superava il 55%. Più posti di lavoro, dunque, che, come sostiene l’Osservatorio dell’Inps sul precariato, non sono carta straccia: la maggior parte dei nuovi contratti è a tempo indeterminato, circa 300mila sui 500mila nuovi posti. I numeri che smontano la narrazione sinistra. Ma per restare in campo economico, ce ne sono ancora parecchie altre, come la fake news del “governo amico degli evasori”, che avrebbe predisposto un “condono di massa” con la sua politica sulle cartelle esattoriali, ma che nel solo 2023, anche soltanto grazie alla serietà con cui il governo ha scelto di investire le sue risorse, ha registrato il record per il rientro dall’evasione. Se i cittadini, infatti, percepiscono che c’è collaborazione da parte dello Stato, questi saranno incentivati a investire nel pubblico, per chi può acquistando i titoli destinati ai privati (anche qui, altro record è la crescita della quota del debito pubblico nelle mani delle famiglie italiane), per chi deve rientrando, con ragionevolezza e senza eccessive, inutili e controproducenti vessazioni, dall’evasione.

La censura sull’informazione non esiste

Ce ne sarebbero tantissime da cui attingere. Soffermiamoci sulla questione Rai, sull’annoso problema legato alla presunta violazione della libertà d’informazione sulla Tv di Stato. Il governo, da mesi, viene descritto come enorme mostro che incombe su giornalisti compiacenti e che allarga le sue fauci su notiziari e salotti serali, a scapito di quei perbenisti in servizio permanente pronti a scomodare il mito della “resistenza” contro il tiranno oppressore. Ci aveva provato prima il PD, proponendo proteste e sit-in fuori la sede di viale Mazzini. Elly Schlein e Sandro Ruotolo, responsabile dell’informazione del PD ed ex giornalista Rai (da che pulpito viene la predica!), in trincea davanti al cavallo bronzeo armati di megafono, affossati talvolta anche dal fuoco amico, che ha fatto notare l’ipocrisia di un partito compiacente alla riforma della Rai voluta da Renzi nel 2015 ma ora intollerante se non riesce ad avere più il controllo sui vertici. Fallito il tentativo, la palla è passata al mondo sindacale: l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti di sinistra, ha indetto uno sciopero contro la presunta censura governativa. Sciopero che è stato un flop totale: telegiornali regolarmente in onda, servizio garantito sui canali principali e pochi danni ai telespettatori. Usigrai ha dovuto fronteggiare l’opposizione del neonato Unirai, che ha spodestato i colleghi di sinistra dal trono di unico sindacato nella Tv di Stato. Usigrai ha fronteggiato anche un altro fatto: nessuno si preoccupa della censura, neppure molti dei suoi iscritti, perché la censura non esiste. E lo ha detto, in commissione Vigilanza, la stessa presidente Rai, Marinella Soldi: “Sul caso Scurati nessun intento censorio. Partita chiusa.

Il Capo dello Stato non è in pericolo

Poi il premierato, questo sconosciuto. Perché qui il problema sembra proprio l’ignoranza: dem e compagni vari ignorano, o fanno finta di ignorare, che la riforma serve al Paese. Meloni dice “o la va o la spacca”. Noi aggiungiamo “speriamo che vada” perché non sarebbe poi tanto male, al di là delle critiche pretestuose della sinistra, smontare quel sistema che permette di governare a chi non vince una tornata elettorale, portando grande conflittualità e, ergo, grande instabilità alla Nazione. Per proteggere, però, quel sistema che giova di fatto ai partiti minoritari che ne vogliono usufruire, anche qui le fake news non sono mancate. Sempre pronta quella sul depotenziamento del ruolo del Presidente della Repubblica, i cui compiti principali, nel testo della riforma, non vengono in realtà minimamente toccati. Ma nulla, la sinistra proprio non riesce a non lamentarsi. E lo fa in modo del tutto pretestuoso: ponendosi in contrasto sulla norma che abolisce i senatori a vita. Qui la “grande limitazione” imposta al Capo dello Stato sarebbe quella di non poter più nominarli. E allora, per ripicca appunto, la sinistra ha un’ideona: proporne dieci, cinque in più a quelli attuali. Opportunismo senza fine davanti a una riforma che potrebbe cambiare il Paese, e che meriterebbe un po’ più di serietà.

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