Cassa integrazione: il Governo reintroduce obbligo di contrattazione sindacale

Da quando è iniziata l’emergenza da Covid-19 una pioggia torrenziale di decreti, dpcm, ordinanze si è abbattuta sui cittadini italiani e le previsioni non vedono schiarite all’orizzonte. Sotto questo diluvio di atti, di rango primario, secondario, amministrativo si aggrovigliano norme e procedure che il Governo continua ad emanare nonostante le promesse di semplificazione.

Contrariamente alle più elementari regole di buona scrittura delle leggi che impongono l’utilizzo, nei testi normativi, del presente indicativo (che ha carattere imperativo e che – in modo chiaro e semplice – ordina, consente o vieta determinati comportamenti), le norme al tempo del Covid contengono dichiarazioni di principio e rimandano la loro applicazione a provvedimenti futuri che diranno cosa si dovrà o non dovrà fare (solo nel dl Rilancio si prevedono un centinaio di decreti attuativi). È una politica di Governo del “si farà” piuttosto che del “si fa”, che utilizza i testi normativi come proclami, come annunci al pari di agenzie o conferenze stampa.

Il Governo, in preda a questo delirio normativo che ha colpito in particolar modo il suo Presidente, si è peraltro arrogato dei poteri la cui ammissibilità e legittimità è certamente dubbia alla luce della gerarchia delle fonti del diritto e del quadro costituzionale.

Anche a chi giurista non è, e costituzionalista tanto meno, appare evidente lo stravolgimento dei rapporti tra i poteri dello Stato previsti dalla Costituzione, posto in essere in nome dell’emergenza sanitaria che, prima ancora di poter essere archiviata, si sta trasformando in una più grave e duratura emergenza economica e sociale.

È legittimo domandarsi se, dunque, in nome della crisi sanitaria o economica che sia, il Governo stia agendo nell’alveo costituzionale e se questa sua frenetica attività normativa non sia lesiva delle prerogative parlamentari, soprattutto quando con essa si arrivano a riproporre disposizioni già bocciate dal Parlamento.

Esempio concreto di questa sistematica, costante e sempre più grave prevaricazione, è il comma 1 lett. b) dell’articolo 68 del decreto Rilancio (che forse alla luce di quanto diremo potrebbe ribattezzarsi “Rimbalzo”) che ripropone – con le medesime parole – una previsione esistente nel testo originario del decreto Cura Italia e cancellata dal Parlamento in sede di conversione.

Tra i suoi 266 articoli, 1.051 commi e quasi 111 mila parole di questo decreto-mostro, il Governo ha infatti reintrodotto, in poco più di due righe, l’obbligo di contrattazione sindacale in capo ai datori di lavoro per la richiesta della cassa integrazione guadagni, che invece il Parlamento aveva cancellato neanche tre settimane prima.

La legge di conversione del Cura Italia approvata dalle Camere è, infatti, del 24 aprile e il decreto Rilancio del Governo è del 19 maggio: dopo appena 25 giorni il Governo ha riscritto sfacciatamente la stessa identica norma bocciata dal Parlamento, ignorando del tutto la volontà espressa anche evidentemente dai parlamentari della sua stessa maggioranza.

Scorrettezza istituzionale (a voler essere buoni) ben più grave di quella politica, comunque manifestata durante i lavori parlamentari, quando la maggioranza ignorò un emendamento di analogo contenuto presentato da Fratelli d’Italia e volto appunto a escludere la contrattazione sindacale per ricorrere alla Cig, preferendo approvarne un altro identico firmato da altri. Ma non ragioniam di loro, ma guarda e passa.

Se, dunque, tornando al nostro caso, il Governo evidentemente intende infischiarsene delle modifiche fatte dal Parlamento e con nuovo decreto le annulla, forse non sarebbe azzardato intravedere una deriva autoritaria che ignora le legittime prerogative del Parlamento e mina le fondamenta dello Stato di diritto basate sulla certezza e stabilità delle leggi che non possono esser cambiate dopo poche settimane dalla loro approvazione. Volendo addirittura spingersi oltre, potremmo anche ravvisare una violazione delle decisioni della Corte Costituzionale che, nel sancire la illegittimità dei decreti legge che riproducono il contenuto normativo di quelli decaduti, mostra di non ammettere alcuna forma di reiterazione, quale invece è di fatto la riproposizione di una norma cancellata dal Parlamento nel corso dell’iter di conversione.

Siamo ormai talmente avanti che, nel perpetrare questa prevaricazioni, non si salvano più neanche le forme o le apparenze. Se, infatti, come abbiamo visto, il dl rilancio ha riproposto una norma già esaminata e bocciata dal Parlamento, lo stesso ha anche modificato norme del dl liquidità prima ancora che questo fosse convertito e, quindi, incidendo su un testo che poteva, almeno teoricamente, essere modificato dalle Camere.

Caso scandaloso questo, di normare su testi non ancora convertiti, purtroppo già visto, anche in occasione della conversione dei decreti cosiddetti “salva ordinanze”, quelli cioè che il Governo ha dovuto emanare per far salve le norme limitative delle libertà fondamentali (divieto di movimento, di viaggio, di incontro, ecc) disposte addirittura con gli ormai famosi “dpcm”, che non solo non sono atti di legge ma neanche governativi: trattasi, infatti di atti propri del Presidente del Consiglio, che non passano neanche dal Consiglio dei ministri, né dal Consiglio di Stato e tanto meno dal Presidente della Repubblica. Anche in quella occasione con il decreto cronologicamente successivo si richiamavano disposizioni del precedente ancora non convertito dalle Camere e quindi prescindendo da possibili modifiche in sede parlamentare.

Esempi talmente grossolani di abuso del potere che denotano una mancanza, radicata e profonda, di rispetto dei ruoli istituzionali, che porta ad una sistematica e reiterata marginalizzazione del Parlamento coinvolto esclusivamente nella conversione di decreti-legge, dandogli, peraltro, anche in questa occasione, solo lo spazio di un voto, uno solo per ogni decreto, blindato per di più, dalla richiesta di fiducia e di fatto, dunque, impossibilitato a svolgere le proprie funzioni.

Una “confusione” nel sistema delle fonti in nome della gestione dell’emergenza da Covid-19 che mette a dura prova gerarchia e legalità, che comporta se non una “rottura”, sicuramente una “forzatura” costituzionale, tanto è vero che neanche in caso di guerra, l’ipotesi più drammatica ed emergenziale per una Nazione, è previsto un tale esercizio di poteri da parte del Governo o del suo Presidente. Infatti in caso di guerra, sarà comunque il Parlamento a conferire con legge i poteri normativi al Governo, il che indica – da parte dei Costituenti – una particolare attenzione al rispetto delle forme istituzionali anche nei casi estremi, che confermano il ruolo centrale del Parlamento.

Gi. Be.

 

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