Cronaca di un viaggio in Europa in tempo di pandemia. Parte I: green pass, vaccini e tamponi

Dopo quasi due anni di Covid e altrettanto tempo chiusi entro gli italici confini, con orizzonti a tratti più angusti e a tratti più laschi, era giunto il momento di mettere in pratica l’esperimento social burocratico più macchinoso della storia: un viaggio a Dublino (nientedimeno), in aereo (addirittura), con figli maggiorenni, minorenni sopra i dodici anni e anche due piccini (mancolicani).

E così a ridosso di ferragosto due numerose famiglie italiane, da anni avvezze a viaggiare assieme, con diverse situazioni “vaccinali” in casa, decidono di intraprendere un breve viaggio e di regalarne alla voce del patriota la cronaca doviziosa.

Meno due giorni alla partenza.

Dopo aver prenotato i biglietti aerei, i viaggiatori hanno iniziato a verificare la documentazione necessaria sia per la partenza che per la permanenza. Ebbene, l’Irlanda per l’ingresso pretende o il vaccino o un tampone molecolare effettuato entro le 72 ore precedenti (guarigione non considerata dato che nessuno per nostra fortuna ha mai contratto il virus). Tuttavia alcuni componenti della compagnia sono sprovvisti di vaccino o di ciclo vaccinale completo, dunque dovranno tamponarsi. Ma il risultato del tampone molecolare (richiesto dall’Irlanda) impiega un giorno per arrivare (per poi avere validità di 72 h). Per ottenere il green pass all’italiana invece basta un tampone rapido … che arriva subito, però ha validità 48 h. Tutto chiaro sin qui?

Bene. Parte della allegra brigata per partire, dunque, effettua a meno due giorni dalla partenza un molecolare, il cui esito otterrà l’indomani, ma dovrà effettuare sempre a meno un giorno dalla partenza un tampone rapido per ottenere il green pass valido in Italia sino al giorno successivo, quello appunto previsto per il decollo da Roma Ciampino. Sicché, effettua il molecolare e contestualmente prenota anche il tampone rapido per il giorno successivo (costo pro capite 60€ di molecolare e 22 € di rapido). In fila fuori dal centro di analisi che fa i tamponi, in una fila umana  stremata dal caldo, si assiste a scene surreali. Extracomunitari che non comprendono le indicazioni delle infermiere, anziani che chiedono tamponi pur essendo vaccinati e persone che dovendo prendere dei voli per tornare a casa chiedono molecolari che inesorabilmente renderanno il loro green pass italico scaduto al momento del presunto imbarco (il personale che effettua i tamponi come è abbastanza naturale nulla sa delle questioni burocratiche sottese). E giù imprecazioni contro l’Italia cialtrona e confusionaria che rende tutto più complicato. Medio tempore, sempre per il viaggio delle due coraggiose famigliole, occorre compilare anche un format che l’Irlanda vuole per l’ingresso sul suolo nazionale, comprensivo delle informazioni di pernottamento. Al momento però gli improvvidi viaggiatori non hanno questi dati, perché abituati a prenotare una volta in loco. Dunque si avventurano subito sugli appositi siti on line e prenotano tre stanze da letto in centro a Dublino, in modo da avere possibilità di compilare il format in questione. In questo turbinio di altalenanti emozioni, i più piccini della truppa sono in attesa delle carte di identità che il ministero dell’interno sta impiegando ad inviare più del dovuto (su questo punto l’inefficienza però dovrebbe essere di tipo strutturale, scollegata dall’evento pandemico).

L’avventura è solo all’inizio, anzi ai preliminari… ciò che allo stato si registra dunque è:

1) che ciò a cui dovevano servire i certificati verdi, ossia l’armonizzazione delle pratiche per facilitare gli spostamenti in Europa, non si è realizzato. Ognuno ha norme diverse, difficilmente conciliabili, anche con finestre temporali rispetto alla presunzione di immunità totalmente difformi … ma forse in Italia il virus circola più rapidamente che in Irlanda, ove assopito dalle temperature più rigide impiega 72 ore per dare evidenza di sé;

2) che il green pass all’italiana ai fini dei viaggi all’estero si appalesa totalmente inutile, però pare che sia l’unica via per poter avere una normale vita di relazione sul suolo nazionale, fatta anche di cene al ristorante, cinema e musei;

3) che la burocrazia italiana non è pronta per affrontare l’invio di una semplice carta di identità in tempi decenti, ma pretende di gestire la pandemia infognandosi sempre e ancora di più in adempimenti capziosi e farraginosi che a confronto il dilemma della Sfinge è una barzelletta. Ma una pandemia è uguale ovunque o se si cambia nazione il virus decide di seguiresti le regole imposte sai singoli governi?

Nella prossima puntata racconteremo la partenza … quali altre mirabolanti avventure dovrà affrontare questa ciurma di buontemponi?

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