È scontato che occorra sempre portare rispetto per chi è più anziano, soprattutto per coloro i quali si trovano in un’età particolarmente avanzata, ma, fatto salvo il doveroso riguardo verso la terza età, non si può non notare che alcuni raggiungano la vecchiaia in un modo che non avevano desiderato prima. Al netto delle patologie che purtroppo si affacciano con il passare degli anni, può succedere di arrivare a traguardi anagrafici ragguardevoli con un buon stato di salute, e questo è una grazia di Dio, ma anche con dei rimpianti, legati magari a cose che nella vita si sarebbe voluto portare a compimento in una maniera differente e però la tarda età, ormai, non consente più rimedi. Quindi, si diventa facilmente irascibili e non vi sono più la pazienza e la diplomazia di un tempo. Ha dimostrato di appartenere a questa categoria di anziani l’ottantacinquenne Romano Prodi. La sua reazione ad una pacata domanda della giornalista di Quarta Repubblica Lavinia Orefici, che si è “permessa” di chiedere al Professore cosa pensasse del passaggio dedicato alla proprietà privata e contenuto nel Manifesto di Ventotene, citato da Giorgia Meloni a Montecitorio, è stata a dir poco scioccante. L’ex premier si è esibito in un mix di arroganza e sberleffo nei confronti della povera malcapitata, e poi, fatto molto grave, i capelli di Lavinia Orefici tirati dal fondatore dell’Ulivo. Prodi ha trattato la giornalista alla stregua di una studentessa somara da redarguire e intimidire. Adesso, l’ex Presidente del Consiglio ammette di aver sbagliato, dopo che persino dei commentatori vicini al suo mondo hanno condannato, con molta calma bisogna dire, il comportamento, ma afferma di non accettare strumentalizzazioni. Non è stato strumentalizzato un bel nulla e il gesto è stato così riprovevole da non poter passare inosservato. Sarebbero esplose le redazioni dei giornali se al posto di Romano Prodi si fosse trovato, per esempio, Silvio Berlusconi o qualunque altro esponente del centrodestra. Se ci fosse stato il Cavaliere, beh, qualcuno avrebbe provato a riferire di molestie a sfondo sessuale per ricordare agli italiani le inguaribili tentazioni berlusconiane da tombeur de femmes. Al cospetto di un eventuale uomo di Fratelli d’Italia, si sarebbe urlato al patriarcato fascista. Prodi ha sì sbagliato, ma non diciamolo troppo forte. L’ex premier ulivista è l’emblema, in compagnia di Fausto Bertinotti che vuole tirare i libri in testa a Giorgia Meloni, di una sinistra cattocomunista che dispensa sermoni di solidarietà, diritti e rispetto, ma è intrinsecamente intollerante e prepotente verso tutti quelli che osano metterla di fronte alle sue gigantesche contraddizioni, uomini o donne non importa. A riguardo di Romano Prodi c’è tuttavia anche dell’altro. Il Mortadella non sta attraversando una stagionatura felicissima ed è per questo che appare come un ultraottantenne portato agli scatti d’ira. Viene da un numero consistente di delusioni politiche ed è sufficiente tornare con la memoria ai suoi due governi, abbattuti entrambi dal fuoco amico e con lo zampino più o meno palese, in tutte e due le circostanze, di Massimo D’Alema. Definitiva e dirompente fu la frustrazione legata alla mancata elezione al Quirinale del 2013. Il Partito Democratico decise alla unanimità di candidare Romano Prodi alla presidenza della Repubblica, ma alla quarta votazione 101 parlamentari del PD fecero mancare il loro voto e la candidatura prodiana fallì fra numerose polemiche. Si può dire che la sinistra e il PD si siano divertiti in più stagioni politiche a sedurre e poi abbandonare il povero Professore. Il mondo di oggi non è quello per cui ha lavorato sempre l’ex premier. A Roma governa saldamente Giorgia Meloni, gli Stati Uniti hanno scelto Donald Trump e l’Occidente, compresa pure la Commissione UE di Ursula von der Leyen, non è più così convinto circa una globalizzazione favorevole soprattutto agli interessi della Cina, decantata spesso da Prodi, e ritiene che sia opportuno iniziare a fidarsi un po’ meno di Pechino. Si capisce allora come il Professore abbia abbandonato da tempo la sua proverbiale pacatezza.