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“La memoria deve essere tramandata di generazione in generazione, come una candela che può accenderne un’altra, un’altra e un’altra ancora, in modo tale che la luce prevalga sul buio della mente” ; queste struggenti ed incisive parole, pronunciate a suo tempo dal grande, grandissimo ex Prefetto di Bergamo Elisabetta Margiacchi che ha voluto ricordare, nel Giorno della Memoria, anche i soldati italiani, prigionieri di guerra, internati nei lager di Stalin durante la Campagna di Russia.
Dei 48.000 soldati italiani che giunsero nei campi di prigionia sovietici, soltanto 10.000 (appena uno su cinque) riuscirono a sopravvivere e a ritornare finalmente in patria.
Sempre dobbiamo mantenere alta la memoria dei nostri Caduti e di chi per la Patria ha sofferto.
“Quando gli italiani che erano prigionieri dei tedeschi sono stati liberati dai russi, ciascuno di loro aveva ancora: un tascapane, un cucchiaio, una gavetta, una forchetta, un gavettino. Dopo due giorni che passavi in mano ai sovietici spariva tutto, non avevamo più un cucchiaio per mangiare la minestra. Noi in prigionia non avevamo nulla. Tanto per fare un esempio, le mie unghie crescevano e non sapevo come tagliarle, e non avrei nemmeno avuto il tempo per pensare di tagliarle anche se avessi potuto, perché l’unico mio pensiero era quello di trovare qualcosa da rosicchiare per sopravvivere. Non c’era nemmeno la possibilità di lavarsi, eravamo delle bestie, io camminavo a quattro zampe. I sovietici eliminarono tutte le salme dei prigionieri di guerra, perché gettate nelle fosse comuni. I nazisti uccisero barbaramente milioni di ebrei, mentre Stalin ne uscì con le mani pulite, perché non ha usato le camere a gas, ma li ha fatti morire per via naturale. Inoltre, siccome l’Inghilterra e l’America erano alleati, hanno avuto tutto l’interesse che non trapelasse nulla di quanto accaduto in Unione Sovietica, tutti sapevano, ma a nessuno è convenuto parlare. Dai lager nazisti arrivava regolarmente la posta, meno che nelle grandi battaglie o durante l’occupazione tedesca a Roma, dai prigionieri dei lager russi non è quasi mai arrivata né una lettera, né una cartolina. Molti degli italiani che morirono per malattia mentre erano nei lager nazisti nell’Europa dell’Est sono stati regolarmente seppelliti in cimiteri, e non in fosse comuni, vicino ai campi di concentramento. Caduto il muro di Berlino queste salme italiane sono rientrate, perché sono state ritrovate non solo le documentazioni di morte, ma anche le singole tombe con le rispettive ossa. Vuol dire che i tedeschi seppellivano umanamente le loro vittime”.
(Testimonianza del Gen. Franco Martini, 4a Divisione Alpina Cuneense, ex internato a Suzdal)