Studiare la figura dell’inconsistente Kamala Harris mi ha subito fatto pensare a quanto siamo fortunati noi italiani ad avere Giorgia Meloni. Considerazione a cui è immediatamente seguita una domanda: siamo davvero sicuri di meritarci una leader del suo calibro? È un ottimo spunto per una riflessione che dovremmo fare tutti, a partire da chi crede in lei.
Osservando i vergognosi attacchi personali che subisce ogni giorno, riconoscendo la sua capacità di guidare una nazione complessa e spesso ingovernabile come la nostra, e comprendendo che essere il Presidente Meloni significa sacrificare in gran parte il ruolo di madre e di Giorgia, possiamo davvero dire di essere all’altezza del suo impegno e dei suoi sacrifici? Intendo tutti, dal semplice militante come il sottoscritto, fino ad arrivare ai parlamentari e alla squadra di governo.
Francamente, la mia impressione è che ci stiamo abituando un po’ troppo al gradevole tepore dello stare al governo, del risultato delle europee e dei sondaggi che ci danno stabilmente sopra al 30%. Eppure, le macerie lasciate dall’esperienza di Alleanza Nazionale sono ancora lì che fumano, ed il crepuscolo finiano dovrebbe diventare il Ground Zero della destra, una sorta di memoriale in cui recarci con costanza per rinfrescarci la memoria in merito agli errori che non dovremo mai più commettere.
Probabilmente, la più grande colpa imputabile a quella classe dirigente e alla prima generazione del centrodestra è quella di non aver portato a termine la rivoluzione meritocratica necessaria per sganciare la politica dalla vetusta e polverosa macchina statale. Per molti, sicuramente troppi, prevalse la difesa dello status quo. Oggi, a due anni dalla storica vittoria del 25 settembre del 2022, è evidente che una parte dell’apparato, il cosiddetto Deep State, resista con ogni mezzo, cercando di tornare ai tempi per lui più fecondi, quelli in cui prosperava sotto partitocrazia e giochi di palazzo.
Non è un caso che i media mainstream e quel che rimane dell’opposizione alimentino sistematicamente una narrazione distorta, atta a delegittimare Giorgia Meloni e il suo governo. C’è un disegno chiaro per ostacolare le riforme necessarie a rilanciare l’Italia. Dobbiamo avere tutti il coraggio di sostenere Giorgia in questo immane sforzo, simile a quello che oltreoceano Donald Trump ha ribattezzato con uno dei suoi pittoreschi slogan: “drain the swamp”, che significa “spurgare la palude”, ovvero il marcio che c’è a Washington D.C. Questo è il senso.
Sì, perché in gioco non c’è un punto decimale in più o in meno per il nostro partito, ma la possibilità di fare ciò che nessuno, nella storia repubblicana, è mai stato in grado di portare a compimento: le riforme strutturali che servono per rifare grande l’Italia.
Togliamoci dalla testa che ricapiti un’occasione del genere. Giorgia ha ragione quando dice che sta facendo la storia, e noi dobbiamo dimostrare di essere all’altezza del momento. Non possiamo permettere che le forze ostili, tanto all’interno quanto all’esterno, rallentino o sabotino questo percorso.
Lei sta lottando con tutta se stessa per cambiare il corso della storia e difendere i nostri valori, e noi dobbiamo sostenerla senza perdere nemmeno un’occasione per diffondere il suo messaggio: sui social, nelle piazze, in famiglia, al lavoro, con gli amici e in qualsiasi contesto in cui ci troviamo. Sosteniamo le nostre idee senza paura, e senza lasciarci tappare la bocca dai gendarmi del pensiero unico che si credono depositari della verità assoluta.
Se Dio vorrà, il 5 novembre il tempo della dittatura del woke e del politicamente corretto finirà, lasciando spazio a una stagione di rinnovato amore per i valori che la sinistra sta tentando in tutti i modi di cancellare. A quel punto i pianeti saranno allineati: facciamoci trovare pronti e nel posto giusto. Al fianco di Giorgia.