Secondo quanto stabilito dal Ministro della difesa australiana, Richard Marles: “La Royal Australian Navy deve essere in grado di garantire la sicurezza delle nostre linee di comunicazione marittime e delle rotte commerciali, fondamentali per il nostro stile di vita e la nostra prosperità”.
La spesa governativa si aggira sui 7 miliardi di dollari, con un incremento delle navi da combattimento che passerebbe dal numero di 11 a quello di 26: secondo quanto riportato da Marles, questa sarà la flotta australiana più grande dalla seconda guerra mondiale.
La spesa militare occuperà il 2,4% del PIL , dunque più di quanto prefissato dalla NATO, ossia il 2%.
Presso Adelaide, verranno costruite alcune imbarcazioni, che impiegheranno il lavoro di 3000 persone e anche di più, mentre altre arriveranno da Spagna, Germania, Giappone e Corea del Sud oltre che dagli ormai noti programmi USA.
La corsa al riarmo è ormai strettamente frequente, non soltanto in Occidente, sembra proprio che il moltiplicarsi dei conflitti sia una ragione in più per investire sulla sicurezza nazionale. Al contempo, c’è da chiedersi se la produzione non rischi di trasformarsi in una spesa inutile con il passare del tempo: le tecnologie militari sono sempre in rapida espansione, questa dinamica rischierebbe di rendere obsolete tutte le modifiche apportate in precedenza.
Dunque, l’Australia non è l’ultima ruota del carro e tantomeno l’unico paese a puntare sulla fabbricazione di nuovi strumenti da guerra, sono infatti molti i paesi – di cui alcuni già coinvolti nei conflitti- ad aver investito il proprio denaro e talvolta la propria forza diplomatica (la Russia con l’Iran per i droni Shahad) per accaparrarsi l’ultima novità bellica sul mercato.
Il caso dell’Australia, sebbene sia uno dei tanti, ci insegna – per l’ennesima volta – che i conflitti armati non hanno soltanto risvolti sociali, ma inevitabilmente proiettano un epilogo economico pronto a rinvigorirsi, ogni qualvolta si presenterà la possibilità di entrare in conflitto per svariati interessi.
Dedicato a tutti gli ipocriti pacifisti, fautori della resa dell’Occidente alle dittature.
Dicevano gli antichi Romani, che di queste cose se ne intendevano molto: si vis pacem, para bellum. In altre parole: se vuoi la pace prepara la guerra.
Con affetto
Alessandro