«Palesemente, la conferenza Italia-Africa è stata un successo…». All’indomani del lancio del piano Mattei, il capogruppo dei senatori di Fratelli d’Italia, Lucio Malan, ribadisce la soddisfazione «per il risultato ottenuto dal governo».
Però il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki, lamenta che le istituzioni di quei Paesi non siano state consultate prima. Cosa ne pensa?
Penso che i detrattori, a partire dalle opposizioni, si stiano attaccando a una frase estrapolata dal suo discorso, l’unica interpretabile in chiave negativa in un intervento dal senso positivo. Com’è normale, Faki ha espresso l’augurio che il dialogo non resti confinato alla conferenza. Ed è ciò che auspichiamo tutti, in primis la presidente del Consiglio Meloni.
L’Ue ha dato pieno sostegno al piano Mattei…
L’Europa avrebbe potuto muoversi fondi, o prima. Ma d’altro canto, ci sta che – per la posizione nel centro del Mediterraneo, per la nostra storia – sia l’Italia a trascinare l’Ue a interessarsi concretamente del continente africano.
Quali sono le incognite? Cosa potrebbe non funzionare in un Piano che ha bisogno dell’interazione di molti Paesi e di maxi-investimenti, molti di più dei 5,5 miliardi italiani?
Bisogna mettere in atto politiche di cooperazione che vadano al di là dell’entità dei primi finanziamenti. Se saranno efficaci, i fondi arriveranno non solo da Italia e Ue, ma anche da Fmi, istituzioni finanziarie internazionali, banche private. L’Africa non ha bisogno di soldi che si disperdano in mille rivoli, come in passato, ma di esprimere le sue enormi potenzialità. L’Europa può aiutarla ad avere uno sviluppo equilibrato, senza intenti predatori. E questa partnership ci vedrà presenti in un continente dove da tempo imperversano Russia e Cina.
Le opposizioni sospettano che il piano Mattei sia una facciata per favorire gli interessi dell’Eni. Come ribatte?
Sono piccole miserie, basate su presupposti errati. Non mi risulta che l’Eni abbia interessi predatori: il suo mestiere è di estrarre gas o petrolio, dove c’è. E lo faceva anche prima del piano Mattei. La novità è che, oltre a questo, si lavorerà per promuovere uno sviluppo multisettoriale dell’Africa, che non è solo “un sottosuolo da sfruttare”.
Negli auspici di Roma e Bruxelles, la cooperazione con l’Africa servirà pure a gestire i flussi migratori e a contrastare la tratta. Un obiettivo possibile o una chimera?
Riteniamo che gli stessi leader africani vogliano che avvenga, perché flussi e traffici creano instabilità nei loro stessi Paesi.
Replicherete l’intesa con la Tunisia?
Sì, visto che funziona: a gennaio si è registrato un calo dell’87% di arrivi dalle coste tunisine. Lo faremo con quei Paesi con cui sarà possibile farlo. Non la Libia, ancora instabile. Per esempio l’Egitto, da cui per ora le partenze sono poche, ma dove la crisi del Mar Rosso potrebbe creare squilibri economici in grado di spingere molti a partire.
Passiamo alle riforme costituzionali e al “premierato”: le trattative come proseguono?
Stiamo affinando dettagli importanti.
Quali?
Il limite al numero dei mandati del presidente del Consiglio eletto, una cancellazione della norma sulla maggioranza parlamentare del 55% e la questione del cosiddetto secondo premier.
Avete trovato un accordo sulle candidature alle Regionali?
Non su tutte, ma – com’è consuetudine nel centrodestra – lo troveremo.
E rispetto alle Europee? La premier Meloni alla fine si candiderà?
Ha detto che deciderà più in là, mancano tre mesi. Gli impegni di governo sono gravosi e solo lei potrà valutarne peso e compatibilità. Ciò detto, personalmente auspicherei che si candidasse. Non è solo la presidente di FdI, ma anche di una formazione europea come Ecr, che dopo il voto – almeno stando ai sondaggi – potrebbe giocare un ruolo importante nella nascita di una nuo
va maggioranza a Strasburgo.