È ormai questione di ore per vedere i primi migranti giungere sulle coste albanesi e accedere nei due nuovi centri per l’accoglienza e il rimpatrio costruiti dopo la sigla dell’accordo, tra Italia e Albania, lo scorso 7 novembre. Un accordo che ora potrà trovare concreta applicazione: come annunciato, con un ritardo di alcune settimane per impedimenti meramente strutturali, i due centri per il rimpatrio di Schengjin e di Gjader saranno finalmente operativi e, secondo le prime stime, potranno ospitare fino a 3mila persone al mese. Vi faranno accesso gli immigrati irregolari di sesso maschile che, non avendo diritto di accedere in Italia, saranno rispediti nei loro Paesi sicuri di provenienza, quelli cioè che compaiono nell’elenco dei Paesi sicuri stilato ogni anno dall’esecutivo. Tra questi, ci sono anche i Paesi nord-africani come la Tunisia e il Marocco, ma anche Paesi del sub-continente indiano come il Bangladesh, dal quale arrivano i flussi più numerosi, attualmente, per l’Italia.
Critiche a vuoto
La creazione dei due centri per i rimpatri in territorio albanese aveva subito ottenuto il convinto sì di Edi Rama, premier albanese, e del partito socialista albanese del quale è presidente. Ma la sua opposizione aveva richiamato l’attenzione della Corte costituzionale di Tirana in merito alla giurisdizione italiana che varrà nei centri: prima sconfitta per i detrattori, con la maggioranza della Corte che spiegò che, sì, la giurisdizione sarà italiana, ma verranno comunque rispettati i principi fondamentali del diritto albanese. Ne deriva, dunque, la legittimità dell’azione. Ma le polemiche hanno accompagnato la vita dell’accordo anche qui in Italia, dove la sinistra ha addirittura rivolto parole di astio nei confronti di Rama, chiedendone addirittura l’espulsione dal partito socialista europeo. La sua unica colpa, a quanto pare, è essersi aperto al dialogo con Giorgia Meloni. Polemiche che hanno smascherato le vere intenzioni della sinistra italiana e cadute, come era pure prevedibile, in un nulla di fatto. Come pure in nulla di fatto sono cadute le critiche di Ong e di altri attori internazionali, che dubitavano del rispetto del diritto umanitario nei due centri: le Ong avevano anche organizzato una sorta di spedizione, un’ispezione di una settimana per visitare i centri e protestare con il governo. Spedizione, anche questa, caduta nel vuoto.
L’interesse degli Stati europei
Anche perché in Albania, come anticipato, arriveranno i migranti maschi irregolari. Non donne né bambini e neppure si provvederà alla divisione del nucleo familiare, come sancito dal diritto internazionale. Il primo centro, l’hotspot di Schengjin, servirà per il primo approdo e l’identificazione dei migranti, mentre a Gjader, che sorge in un’ex base Nato, sono garantiti quasi 900 posti letti, 144 posti nel Cpr e 20 posti in un penitenziario per i reati commessi all’interno delle strutture. Si tratta di un modello che si compirà per la prima volta nella storia: mai, prima d’ora, un Paese extracomunitario si proponeva di accogliere migranti provenienti da un Paese della Ue. Un accordo che serve anche da alleggerire il carico di persone che giunge sulle coste italiane e per semplificare l’identificazione, nonché per evitare il rischio che i migranti scappino facendo perdere le proprie tracce nel nostro territorio. Un accordo che, proprio per questo, ha attirato l’attenzione degli Stati europei: dell’Unione europea in primis, ma anche di altri Stati come l’Inghilterra, la Svezia e la Germania. Prevedendosi, inoltre, un risparmio dal punto di vista finanziario: secondo il Viminale, l’immigrazione clandestina ci costa 1,7 miliardi di euro all’anno, il mantenimento delle strutture non supera gli 850 milioni in cinque anni.