Secondo alcune indiscrezioni trapelate ieri, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni avrebbe promosso, in vista del Consiglio europeo di domani, una riunione informale insieme ai capi di governo interessati al dossier immigrazione: tra questi, dovrebbero esserci Mette Friedriksen, premier danese, e Dick Schoof, collega olandese. Un modo per portare avanti quel lavoro di cooperazione, di aprirsi a quel dialogo che tanto bene stanno fruttando all’Italia, nella condivisione della strategia italiana contro i trafficanti di esseri umani e contro gli sbarchi irregolari.
Il cambio di passo
L’Unione europea, del resto, sembra aver iniziato a recepire – già dà un po’, a dire il vero – le istanze italiane in fatto di immigrazione: l’Europa non poteva più essere schiava dei contrabbandieri di vite umane nel Mediterraneo, che per troppo tempo sono stati i veri agenti doganali del continente, decidendo arbitrariamente chi potesse, e chi no, accedere negli Stati membri. Un’Europa che, in questo contesto, si limitava ad accogliere chiunque volesse entrare, senza fare distinzioni tra chi realmente aveva diritto e chi, invece, aveva altre intenzioni, quali l’esportazione delle battaglie jihadiste al di fuori dei confini del mondo arabo. La mera redistribuzione dei migranti ha portato alla situazione che oggi conosciamo: interi quartieri popolati da migranti niente affatto integrati al resto della popolazione, abbandonati alla criminalità e pronti a diventare un anti-Stato, vivendo al di fuori delle regole civili, diventando spesso manovalanza per le mafie. E anche i progressisti di mezza Europa hanno iniziato a rivedere le loro politiche migratorie: Germania, Francia, Polonia, Inghilterra, Spagna, Svezia, sono solo alcuni esempi.
Modello Italia
Dicevamo, dunque, di un’Europa che, sulla spinta italiana, ha iniziato a fare marcia indietro e a preferire il modello dei rimpatri, del pugno duro contro le mafie del Mediterraneo e delle soluzioni “innovative”, come l’accordo tra Italia e Albania, preso ad esempio proprio da Ursula von der Leyen, nella sua lettera inviata ai capi di Stato e di governo della Ue in vista del Consiglio europeo. “Dovremmo anche continuare – ha scritto il presidente della Commissione europea – a esplorare possibili strade da percorrere riguardo all’idea di sviluppare centri di rimpatrio al di fuori dell’Ue, soprattutto in vista di una nuova proposta legislativa sui rimpatri. Con l’avvio delle operazioni previste dal protocollo Italia-Albania, saremo anche in grado di trarre lezioni pratiche”.
Accordo Italia-Albania al centro del Consiglio Ue
L’accordo, che ha visto completare pochi giorni fa i due centri per i rimpatri costruiti sulla coste albanesi nei quali vigerà giurisdizione italiana, con i primi migranti attesi oggi, sarà dunque al centro del prossimo Consiglio europeo e, non a caso, è stato forte il dibattito su di esso, ieri, in Parlamento, al momento delle comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista, appunto, del Consiglio. Molte, in effetti, le critiche delle opposizioni, dalla violazione dei diritti umani alla presunta spesa eccessiva. Ma, come già ricordato, nei centri di Shengjin e di Gjader vigerà la giurisdizione italiana ed europea che tutela gli immigrati recependo le disposizioni del diritto internazionale. E, come bene ha sottolineato la premier, le spese di costruzione, gestione e manutenzione dei due centri calcolate in cinque anni, pari all’incirca a 700 milioni di euro, equivalgono soltanto al 7% del costo dell’accoglienza in Italia.
Anche perché, come ha dichiarato il premier albanese Edi Rama in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, non si capisce quale sia la reale proposta dei detrattori del protocollo. “Non penso che l’interesse dell’Italia – ha spiegato in Aula Giorgia Meloni – sia quello di concentrarsi sulla redistribuzione. La penso in maniera opposta, facciamo valutazioni diverse. Ovviamente – ha continuato – noi non redistribuiremo mai un numero significativo di migranti illegali rispetto a quelli che arrivano, se a monte non difenderemo i confini esterni. Ai colleghi europei ho detto che l’unico modo per risolvere il problema per tutti e non pretendere di scaricarlo uno sull’altro è lavorare a monte sule cause delle migrazioni illegali. Io credo che questa sia la soluzione, sta funzionando per l’Italia e credo che funzioni per l’Europa. I numeri ci danno ragione”. I numeri, inopinabili, che attestano il calo degli sbarchi al 65% rispetto allo scorso anno, ma anche la considerazione internazionale nei confronti dell’Italia, presa a modello dai maggiori Paesi della Ue e dalla Ue stessa.