Più che un concerto, quella di Giuseppe Povia è un’esperienza. Un rito collettivo, una dichiarazione d’identità. Lo capisci subito, da quel boato che si alza dalla folla quando sul maxischermo appare una semplice frase: «Odio il politicamente corretto». Nessuna provocazione fine a sé stessa, ma l’inizio di un viaggio dentro l’Italia che esiste ancora, ma che i media mainstream fingono di non vedere.
Giuseppe è un portatore sano di valori. Quei valori che in pochi – tra questi l’amico cantautore Simone Tomassini, organizzatore del Beat Summer Festival di Vertemate con Minoprio, a due passi da Como – hanno ancora il coraggio di cantare. Valori come la famiglia, l’amicizia, la comunità, la libertà di opinione. Tutti temi che sono stati messi al bando dalla dittatura del pensiero unico, che ha imposto un filtro su ciò che si può dire, scrivere, suonare.
Povia canta la verità. Contro la censura, contro l’ipocrisia. Lo fa da sempre, anche a costo di pagare un prezzo altissimo. Canzoni come Luca era gay, La verità, I bambini fanno oh e Vorrei avere il becco – un brano trasmesso persino da Radio Maria e citato accanto a Papa Ratzinger – toccano corde profonde, raccontano storie reali, fanno pensare. Ed è proprio per questo che sono finite nel mirino dei gendarmi del conformismo, che sono riusciti ad isolarlo dai palcoscenici “che contano”.
Oggi sul palco di Sanremo vengono acclamati personaggi che, nella migliore delle ipotesi, rappresentano istanze di minoranze rispettabili ma che, nella loro ossessiva sovraesposizione, impediscono alla stragrande maggioranza degli italiani di rivedersi, di riconoscersi, di sentirsi rappresentati. Chi canta i valori della tradizione viene ignorato, se non ostacolato. È così che artisti veri, come Giuseppe Povia e Simone Tomassini, si ritrovano tagliati fuori dai circuiti televisivi e radiofonici.
E non basta. Perché Giuseppe si espone anche politicamente. E anche in questo caso, lo fa da una parte sgradita ai media mainstream. Mentre in Italia esiste il concertone del Primo Maggio, vetrina ideologica mascherata da evento musicale, e chiunque si adegui al pensiero unico della sinistra viene celebrato, invitato in tv, promosso come archetipo culturale, chi si schiera apertamente – o anche solo con rispetto – con figure come il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni viene silenziato, marginalizzato, ridicolizzato.
Eppure, Giuseppe continua. E proprio in questa intervista ci parlerà anche di Giorgia Meloni. Della sua storia personale. Della fatica. Dell’Italia che rappresenta. Perché, piaccia o meno, è anche questa l’Italia vera. Quella che esiste, ma che non ha più il permesso di raccontarsi.
A mezzanotte inoltrata, dopo due ore e mezza di musica ininterrotta sul palco del festival, Giuseppe è ancora lì, accanto al gazebo della Croce Verde, a scattare foto con i fan, a parlare con i volontari, a sostenere la raccolta fondi. È lì che inizia questa intervista. Tra la gente. Lì dove la sua musica nasce, e dove continuerà a vivere.
Hai appena concluso due ore e mezza di concerto. Sono passate l’una di notte e sei ancora qui con i tuoi fan. Perché?
Perché per me il concerto non finisce quando smetto di cantare. Il concerto finisce quando le persone se ne vanno. Io sono qui per loro, come lo sono stato sul palco. Se canto canzoni che parlano di loro, non posso poi ignorarli. Questo è il senso della musica, almeno per me. Stare con la gente. Non sopra, ma accanto.
Hai vinto Sanremo e premi prestigiosi, venduto centinaia di migliaia di dischi e fatto canzoni di successo su temi difficili, come “Luca era gay” o “La verità”. Eppure, da anni non vieni più passato in radio, né invitato in televisione. Come te lo spieghi?
È semplice: perché non piaccio al pensiero unico. Non è una questione musicale. È una questione di contenuti. Io canto la verità, e la verità dà fastidio. Quando dici qualcosa che esce fuori dallo spartito imposto, vieni isolato. Funziona così. Prima ti fanno sentire che sei benvenuto, poi quando capiscono che non ti pieghi, ti chiudono tutte le porte. Ma io preferisco restare libero.
Però le tue canzoni toccano milioni di persone. I concerti sono pieni. Come si spiega questo scollamento tra il pubblico e i media?
Il pubblico c’è, eccome. Solo che oggi non ha più rappresentanza. In tv, in radio, nei giornali, si racconta un’Italia irreale. Un’Italia minoritaria, spacciata per totalità. Io canto l’Italia vera. L’Italia delle famiglie, dei paesi, della fede, dell’amicizia, della libertà. E quando la gente lo sente, lo riconosce. Anche se mi hanno messo da parte, io continuo a riempire piazze, ogni estate, tutto l’anno. Quello è il mio Sanremo.
Nel tuo repertorio si sente un forte legame con la tradizione e con i valori. È diventato difficile oggi cantare la tradizione?
Molto difficile. Perché oggi se canti la tradizione ti bollano. Sei reazionario, sei fascista, sei omofobo, sei sessista. Ma io non mi faccio intimidire. La mia musica parla di cose semplici, vere, che esistono da sempre. È l’ideologia dominante che ha un problema, non io. E se mi mettono all’indice per questo, è solo la conferma che sto dicendo qualcosa che conta.
Ti autogestisci da anni. Non è faticoso stare fuori dal sistema, senza etichette e uffici stampa?
Sì, è faticoso. Ma è anche liberatorio. Perché ogni volta che salgo sul palco so che tutto quello che succede è merito mio e del pubblico, non di qualcuno che ha deciso che posso funzionare. È vero: l’unione fa la forza, ma chi fa da sé è libero. E io preferisco la libertà alla carriera facile.
Pensi che sia possibile oggi superare il mainstream? Creare un’alternativa?
Assolutamente sì. Perché il mainstream ha perso credibilità. È rimasto in piedi per anni con la stessa narrazione, ma la gente ha cominciato a svegliarsi. Oggi non c’è nemmeno più una vera opposizione culturale, quindi chi ha contenuti può davvero prendersi spazio. Basta non avere paura. E lavorare sodo.
Hai detto che ti piacerebbe tornare a Sanremo. Ci credi ancora?
Sanremo è casa mia. Ci sono nato artisticamente. Mi piacerebbe tornarci perché penso che ancora oggi, con tutte le sue contraddizioni, abbia un valore simbolico fortissimo. Ma non ci torno a qualsiasi prezzo. Se devo andarci piegandomi a qualcosa che non sono, allora no. Preferisco restare con le mie canzoni, con la mia gente, nei miei concerti veri.
Hai parlato diverse volte di Giorgia Meloni. Cosa ti colpisce della sua storia?
Che si è fatta il culo. E se fosse stata di sinistra, oggi ci sarebbero statue ovunque. Ma siccome è di destra, allora niente. Nessuno riconosce il suo percorso, la sua gavetta, la sua coerenza. Io la rispetto, perché so cosa significa dover lottare per essere ascoltato. E lei lo ha fatto, in un sistema dove se non appartieni a certi ambienti, sei un corpo estraneo.
Secondo alcuni sei di destra. Ti ci riconosci?
A volte mi dicono: «Tu sei di destra». Ma io non posso essere così limitato da far parte di un partito. Come artista, se fossi da una parte o dall’altra, sarei limitato. Non potrei più cantare quello che voglio. A me piace essere una persona obiettiva. Se un pensiero che viene dalla destra è valido, lo riconosco. Se arriva dalla sinistra e ha senso, lo riconosco lo stesso. Io sono libero.
Cosa potrebbe fare Giorgia Meloni per riportare la libertà anche nel mondo della musica e dell’arte?
Aprire gli spazi. Rompere il monopolio. Non si tratta di favorire qualcuno, ma di garantire a tutti la possibilità di esprimersi. Oggi in televisione e in radio entrano sempre gli stessi, che rappresentano sempre la stessa parrocchia. Sarebbe bello vedere un artista indipendente, uno che si produce da solo, che canta quello in cui crede, salire su un palco importante solo per il suo valore, non per le sue amicizie o per la potenza dell’etichetta discografica.
Ultima domanda: qual è la tua forza? Cosa ti fa andare avanti, nonostante tutto?
La verità. Io credo nella verità. E credo nelle persone. Ogni volta che uno mi ferma per strada e mi dice «le tue canzoni mi hanno aiutato», io mi ricordo perché faccio musica. Io non vendo solo canzoni. Io racconto pensieri. Racconto storie. E finché ci sarà anche solo una persona disposta ad ascoltarle, io continuerò a cantarle.