Se ci si poteva fidare, in parte, di Vladimir Putin prima della guerra in Ucraina, almeno per ragioni di realpolitik, di stabilità mondiale e nella lotta al terrorismo islamico, che costituisce una minaccia anche in Russia, poi, l’aggressione militare ai danni di Kiev ha creato un solco profondissimo fra il Cremlino e l’Occidente. Vi sono stati momenti alti come la significativa distensione avvenuta a Pratica di Mare, grazie all’Italia di Silvio Berlusconi, fra l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush e il leader russo Putin. In quel tempo, si parlava addirittura di un ingresso della Federazione russa nella NATO, e si doveva partire da una iniziale e stretta collaborazione fra Mosca e l’Alleanza Atlantica. Però, non tanti anni dopo Pratica di Mare e verso la fine del secondo mandato di Bush, la Russia cominciò a destabilizzare quel quadro di fiducia che si era creato in Italia, avanzando pretese, le stesse che avrebbero poi riguardato l’Ucraina, sulla Georgia e fomentando il separatismo filorusso di alcune zone dove sono sorte delle repubbliche fantoccio, Ossezia del Sud e Abcasia.
Il sentimento antirusso in Georgia è tuttora forte e radicato nella popolazione, e le attuali manifestazioni di protesta che si sono svolte a Tbilisi, contro una legge del governo locale dal sapore putiniano, lo stanno dimostrando. La tentata invasione dell’Ucraina, perché, non dimentichiamolo, l’obiettivo iniziale della Russia era quello di occupare l’intero territorio di Kiev, ha successivamente demolito tutte le relazioni politiche e diplomatiche fra Mosca, Washington e le cancellerie europee. La guerra è ancora in corso, dal 2022 e gli attacchi dell’esercito russo, tra frenate ed intensificazioni, non hanno mai dato tregua, quindi, è normale che oggi la parola del presidente Putin non abbia più grande valore in Occidente. Tuttavia, essendo egli una delle due parti in causa nella tragedia del conflitto ucraino, non è possibile ignorarne quelle dichiarazioni maggiormente degne di analisi.
In due momenti, prima e durante la propria visita in Cina, per un faccia a faccia con Xi Jinping, Vladimir Putin ha parlato della possibilità di negoziati per la guerra ucraina in cui siano contemplati gli interessi di tutti, quindi, si suppone, anche di Kiev, visto che la sola Russia non rappresenta tutti. Sembrerebbe un’apertura, un passo in avanti, se pensiamo a cosa hanno sempre detto dal Cremlino nei riguardi del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e del suo governo. Zelensky e il suo entourage sono, dal 2022, un cancro nazista da estirpare per i russi e si può trattare con l’Ucraina, ma non con il suo presidente attuale. Sarebbe bello se gli ultimi interventi di Putin fossero sinceri, ma è diventato arduo credere in quest’uomo, che sino all’ultimo, prima di quel 24 febbraio del 2022, aveva garantito a tutto il mondo che non avrebbe torto un capello all’Ucraina, deridendo pure gli avvertimenti dell’intelligence americana che paventavano un’operazione militare russa in grande stile. Possiamo solo provare a dare due o tre interpretazioni. L’offensiva in corso nella regione di Kharkiv, città dell’Ucraina orientale, per popolazione seconda solo a Kiev, ha comportato un’avanzata dell’esercito russo e la conquista di alcuni villaggi, anche se il cammino dei soldati di Putin pare stia già rallentando il passo, dopo una spinta in avanti non maggiore di una decina di chilometri e Zelensky rassicura circa una situazione che si è stabilizzata.
In ogni caso, Vladimir Putin, prima delle due dichiarazioni, diciamo così, “aperturiste”, ha sostenuto come il suo Paese stia vincendo a Kharkiv e su tutto il fronte. Se va tutto così bene, perché tenere conto all’improvviso degli interessi di tutti, anche dei “nazisti” ucraini mai considerati degni di un dialogo civile? Non sarebbe meglio, ragionando da un punto di vista puramente putiniano, continuare la marcia vittoriosa fino a non avere nemmeno più bisogno di negoziare perché la controparte è ormai annichilita? Vengono in mente due possibili scenari: in realtà, la Russia, anche se periodicamente e a fasi alterne aumenta la propria potenza di fuoco in Ucraina, non è sicura di godere di un respiro lunghissimo, (ciò che si conquista deve essere poi tenuto sotto controllo); oppure, siamo al solito gioco sporco di un autocrate che parla di negoziati equi, ma pensa a come presentarsi in una posizione di forza e consolidare la pressione nel Donbass. Si pensa infatti che l’assalto nella regione di Kharkiv sia stato organizzato per distrarre lì le Forze Armate ucraine e irrobustire così la presenza russa nel Donbass.
Xi Jinping, al di là di quanto è stato reso pubblico, che è solo la minima parte, considerando la natura impenetrabile di Russia e Cina, potrebbe aver fatto capire all’amico di Mosca che le forniture cinesi di materiali essenziali per l’esercito della Federazione russa non avverranno in eterno. La Cina non ama l’Occidente e la Russia è importante per mantenere acceso il fuoco anti-USA, ma l’economia del Dragone, senza i mercati nordamericani ed europei, subirebbe un drastico ridimensionamento. Il Segretario di Stato americano Antony Blinken, che ha visitato di recente Zelensky, ha assicurato sull’arrivo di nuovi aiuti statunitensi a Kiev, e questo potrebbe aver condotto Putin a riconsiderare alcuni toni trionfalistici. Si vedrà, ma intanto sappiamo che si sono già verificate delle occasioni propedeutiche a negoziati nell’interesse di tutti, come dice Putin, ma il Cremlino si è sempre dimostrato sordo e cieco. La conferenza di pace in Svizzera, che si terrà fra poco, ha ricevuto il niet russo ancora prima di iniziare, e tempo fa, Volodymyr Zelensky ha annunciato di essere disposto a fare a meno anche dell’ingresso del suo Paese nella NATO, pur di vedere andare via le truppe russe, dal Donbass e da ogni parte dell’Ucraina, e di riavere integra la sovranità territoriale di Kiev, ma Putin non ha mai concesso neppure una breve tregua.