Giorgia Meloni ottiene la standing ovation del popolo Maga alla Cpac, la convention internazionale dei conservatori. Poche ore dopo sigla uno storico accordo con gli Emirati Arabi Uniti che destina circa 40 miliardi di dollari di investimenti per l’Italia. In serata, l’encomio (l’ennesimo) di Donald Trump per la leader di Fratelli d’Italia: “Donna meravigliosa, grande leader”. Per non parlare delle numerose vittorie italiane degli ultimi mesi, della ritrovata centralità di Roma in Unione europea o dell’ottima figura fatta al G7, presieduto nel 2024. E menomale che da sinistra si levava – e continua a levarsi – il grido di chi lamenta un presunto isolamento italiano a livello internazionale.
Gli unici a essere isolati, in questo momento, sono i democratici (cosiddetti) del Pd. Sono ormai caduti i baluardi esteri su cui Elly Schlein faceva affidamento. È crollato Joe Biden, per il cui padrino politico, Barack Obama, l’italo-svizzera vanta continuamente di aver fatto campagna elettorale. È crollato il socialista Olaf Scholz, in Germania, schiacciato dal voto dei cittadini che si sono spostati prepotentemente verso il centrodestra, con la vittoria di Csu-Cdu e la grande crescita di Afd; Scholz, forse, sarà graziato soltanto dal cordone sanitario che a Berlino sopravvive contro la destra. E così Elly Schlein, sempre più sola, complica la situazione auto-isolandosi. Anzi, costringendo un Pd non suo (troppe le correnti per parlare di un suo pieno potere su di esso) a declinare alleanze esterne.
Pd isolato in Ue e debole nel campo largo
Così, nessuno dei fedeli di Schlein si reca in Ucraina, a Kiev, dove la sinistra europea ha voluto ribadire il sostegno a Zelensky in occasione del terzo anniversario dello scoppio della guerra. Ci va soltanto Pina Picierno, la classica voce fuori dal coro dei dem. In realtà l’isolamento di Schlein va avanti da un po’ e in Europa, già in diversi casi, il Partito democratico ha scelto di votare in modo contrario alle direttive generali del gruppo dei Socialisti europei, di cui pure costituiscono la delegazione più numerosa. Un controsenso bello e buono. Ma forse, in fondo, c’è una ragione. Le troppe divisioni sulla politica estera della sinistra italiana stanno diventando un peso a livello elettorale, a livello di credibilità. Troppe incongruenze: il fu Terzo Polo è convintamente dalla parte dell’Ucraina, mentre Conte, Bonelli e Fratoianni non hanno mai nascosto la loro avversione nei confronti del sostegno a Kiev. Allora ecco che arriva la strategia di Schlein: auto-sabotarsi a livello internazionale, essere disposta a fare le peggiori figuracce con gli alleati stranieri pur di ingraziarsi quelli italiani. Il tutto cedendo alla propria narrativa, pur essendo a capo del partito che in teoria è il più votato della coalizione.
Ma questa strategia funziona? Beh, chiaramente no. Continuare a mostrare ambiguità e titubanza, continuare a restare in un limbo oscuro, in una terra di nessuno, non ha mai aiutato. Anche perché si è capito, ormai, che in questo modo le divergenze non si appianano. M5s e Avs continuano ad avere una loro linea e contrastano Zelensky per opportunità, per partito preso, per differenziarsi dalle posizioni del centrodestra; il Pd, al contrario, sa benissimo che, in quanto partito che si è sempre auto-definito ‘responsabile’, non può certo schierarsi dalla parte della Russia e di Vladimir Putin (perché dire all’Ucraina che non deve difendersi, è dire alla Russia che può invadere qualunque terra voglia conquistare). Da che parte stare allora? Probabilmente Elly Schlein se lo chiede da mesi, anzi da anni, senza essere riuscita a trovare mai una soluzione. Il risultato? Pd isolato in Europa e debole all’interno dell’ipotetico campo largo. Una bella assicurazione per il centrodestra.