Le Ong favoriscono l’immigrazione clandestina: la ferma risposta del Governo Meloni

Ong in combutta con le milizie di Zawiya dedite al traffico di esseri umani. Consegna garantita su chiamata con una scorta: una truffa mascherata da ‘salvataggio’”. La denuncia pubblicata su X dall’account Migrant rescue watch, con tanto di video che documenta il passaggio di migranti (34 persone poi sbarcate a Ravenna) dai gommoni dei miliziani libici alla nave Aita Mari della spagnola Salvamento Maritimo Humanitario, fa discutere e riaccende i riflettori sull’operato delle Ong.

Questa non è la prima volta che le navi umanitarie vengono accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con la complicità dei trafficanti di uomini (anche se in casi eclatanti, come quello della nave Iuventa, le stesse accuse sono state ribaltate a distanza di anni in sede processuale). L’account Migrant rescue watch, gestito da un veterano vicino alla Guardia Costiera libica, nei giorni scorsi ha segnalato almeno un altro episodio poco chiaro, analogo a quello dell’Aita Mari. Ovviamente è tutto da provare. Ma intanto le immagini e i documenti postati su X non lasciano molto spazio all’immaginazione.

Le Ong vogliono incidere sulle nostre politiche

Lo spazio in cui si muovono le Ong è difficile da circoscrivere. Come il confine tra mare e cielo si confonde in quel tratto di Mediterraneo percorso dai viaggi della speranza, così le finalità umanitarie troppo spesso si mescolano con la politica e gli affari. C’è il rapporto privilegiato con i partiti di sinistra, documentato da una recente inchiesta de La Verità sulla Ong Mediterranea. C’è l’inchiesta sui migranti soccorsi dalla nave mercantile Maersk Etienne, caricati sulla Mare Jonio in cambio di centinaia di migliaia di euro. C’è il nodo dei finanziamenti. C’è la volontà di incidere sulle politiche migratorie dei governi.

Sul sito della Ong tedesca Sos Humanity, ad esempio, si legge chiaramente che con l’azione della nave Humanity 1 “si cerca anche di mettere in evidenza le conseguenze della disumana politica europea di chiusura delle frontiere” e si chiede “un cambiamento politico”. Spesso ad accogliere le navi umanitarie nei porti italiani ci sono striscioni con messaggi politici come “No border, no nation” (No ai confini, no alle nazioni).

E a volte si sfocia in un vero e proprio incitamento all’odio, come nel caso del messaggio postato su X dalla Sea-Watch, la Ong che arruolò la “capitana” Carola Rackete, passata in pochi anni dal timone della nave agli scranni del Parlamento europeo. “I politici del governo italiano, Meloni e Piantedosi, sono oggi in Libia per lavorare con il primo ministro della Libia occidentale, Dbaiba, sulla loro politica migratoria distopica. Auguriamo loro tutto il male dal profondo del nostro cuore“, hanno scritto gli attivisti della Ong tedesca. Un messaggio non proprio rassicurante, arrivato qualche giorno dopo l’attentato a Donald Trump.

Scongiurare le guerre ibride

Piaccia o meno a qualcuno, però, la gestione delle politiche migratorie spetta ai governi democraticamente eletti, e non può essere influenzata da soggetti finanziati da entità e fondazioni private o da Stati stranieri. A maggior ragione in un contesto come quello attuale, in cui l’immigrazione è entrata di fatto nell’arsenale delle guerre ibride, il rischio concreto di non regolamentare l’attività dei soggetti che operano nel Mediterraneo è il ribaltamento delle regole democratiche.

Introdurre delle regole, come ha fatto il governo di Giorgia Meloni con il decreto sulle Ong adottato nel gennaio del 2023, serve a coniugare il dovere di assicurare l’incolumità dei migranti recuperati in mare con l’esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica e il rispetto del diritto internazionale e del mare. Le nuove disposizioni disciplinano la questione dei salvataggi multipli, uno degli aspetti più dibattuti dell’operato delle Ong. Effettuare fino a sette interventi in 72 ore senza alcun coordinamento con il centro di soccorso italiano o di altri Paesi, come succedeva nel recente passato, infatti, non significa imbattersi in situazioni di pericolo ma essere andati in cerca dei migranti da trasferire sulla propria imbarcazione. Un modus operandi inaccettabile che mette a repentaglio la sicurezza dei migranti stessi, come testimoniano i numerosi interventi che si sono resi necessari in passato per placare proteste o risolvere problemi di carattere sanitario.

La nuova prassi

Con la nuova prassi i tempi di assegnazione del “porto sicuro” si riducono sensibilmente: le navi delle organizzazioni non governative, infatti, devono richiedere l’assegnazione del porto di sbarco nell’immediatezza dell’evento di soccorso e raggiungerlo senza ritardo. Il porto più sicuro, poi, non deve essere automaticamente il più vicino: è il governo a decidere quale sia il luogo più adeguato per far sbarcare i migranti, per gestire al meglio le operazioni di soccorso e prima assistenza, ed evitare che si creino situazioni emergenziali e indecorose negli hotspot.

Chi viola le nuove norme incorre in sanzioni amministrative che comprendono anche il fermo della nave. Nel corso del 2023 sono state almeno 14 le imbarcazioni sanzionate. In molti casi, però, i giudici hanno sospeso i provvedimenti amministrativi, accogliendo i ricorsi presentati dalle organizzazioni non governative, ritenendo la versione degli attivisti pro-immigrazione incontrollata più autorevole rispetto alla normativa italiana ed europea.

I magistrati ora dovranno fare chiarezza anche sul caso della Aita Mari, visto che sono stati già annunciati esposti sulla presunta “consegna” dei migranti dall’imbarcazione dei trafficanti libici a quella della Ong.

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