Nessuno si illuda, la Romano è ancora prigioniera.

Ancora oggi continuo a guardare le immagini di Silvia Romano che scende dalla scaletta dell’aereo e non posso fare a meno di provare una grandissima tristezza. Una tristezza composta e rispettosa di tutto quello che ha passato. E le sue parole, il suo ampio sorriso, che nessun integralismo potrà mai imprigionare, la serenità che vuole trasmettere purtroppo non riescono a mitigare in me questo senso di profonda tristezza. E questo perché sono convinto che le stigmate di quella prigionia Silvia continua a portarsele addosso.

Quella tunica con cui è arrivata non è un semplice vestito, e dobbiamo ringraziare le tante coraggiose donne musulmane come Souad Sbai che ce lo hanno spiegato, ma una gabbia che continua a rinchiuderla.

La copre, la nasconde agli occhi di tutti, la priva della sua femminilità, del suo essere donna. Quel vestito non è altro che la negazione di tutta la nostra cultura. Sotto quella veste c’è tutta la nostra civiltà, tutto il processo di emancipazione non soltanto femminile ma anche sociale e politico. Lá sotto è nascosta la dichiarazione dei diritti dell’uomo della Rivoluzione francese; là si perde il processo di secolarizzazione che faticosamente ha portato ad affrancare lo Stato dalla tutela e dalla soggezione della religione. E sì, certamente sotto quella veste c’è anche il lungo e complicato percorso che le donne hanno dovuto compiere per emanciparsi, per vedersi riconosciuto un ruolo e una dignità, che purtroppo ancora oggi questa società continua a negargli.

E fa male il silenzio assordante delle nostre femministe, della domenica, che non hanno detto una parola su questa vicenda.

Per intenderci, quelle che non perdono occasione per mettersi in mostra con polemiche imbarazzanti (chi ricorda il Dio, Patria e Famiglia che vita di merda targato Cirinnà?), ma che non hanno detto una parola su questa vicenda. Che dinanzi a quella gabbia di stoffa non abbiano lanciato il loro grido di dolore. Tutte zitte, forse perché se avessero parlato avrebbero messo in crisi la favola buonista della sinistra che da decenni ci racconta e dove chi difende i valori dell’Occidente, chi preserva le nostre radici cristiane e giudaiche viene bollato come un pericoloso sovranista; perchè non devono esserci muri e differenze, valori e principi ma bisogna accogliere tutti in ossequio a una visione della società liquida e relativa.  

E nonostante quella veste in tanti hanno preteso di giocare la loro partita con il ritorno di Silvia. Con una spregiudicatezza senza eguali. A cominciare dal premier il quale ieri ha avuto il coraggio di dire che Silvia va lasciata in pace. Proprio lui che per una foto opportunity ha sgomitato con il ministro degli Esteri, senza pensare che così l’avrebbe lanciata alla ribalta mediatica esponendola al pubblico ludibrio e facendola diventare un simbolo, divisivo, dei nostri giorni. Talmente divisivo che adesso si teme per la sua sicurezza.

Ma nel cinico gioco della politica non importava che veste indossasse, e nemmeno a quali rischi e conseguenze potesse essere esposta Silvia.

E nemmeno il boomerang mediatico internazionale che si sarebbe prodotto dall’immagine di un premier occidentale che accoglie un’italiana convertitasi all’Islam, con indosso i panni dell’integralismo e che per giunta aveva parole di quasi di tenerezza per i suoi efferati rapitori.

Una scena già vista con Liliana Segre, anch’essa esposta come simbolo, per giunta sulla base di una notizia falsa, e messa a rischio della propria incolumità. Ma come allora tutto questo non contava.

E a questo cinico gioco nemmeno a destra ci si è voluto sottrarre cercando sempre in quella ragazza, nelle sue scelte, nella sua vita presunti legami, quasi ancestrali, con valori quali l’antimperialismo, l’antiamericanismo e la lotta a favore dell’autodeterminazione dei popoli.

Adesso ci si accorge che Silvia è minacciata, che è in pericolo e che deve essere protetta. L’unica cosa da fare è lasciarla in pace. Lasciamola tornare a vivere e lasciamo che questa famiglia viva la gioia di aver ritrovato una figlia ma con il dolore di vederla ancora imprigionata nella giungla della Somalia. Una giungla che ha le sembianze di quella veste, che mi auguro prima o poi possa dismettere. E allora sì che potremo festeggiare e dire che Silvia è tornata a casa.

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