Maria Letizia Russo è una signora palermitana di 61 anni, sa di non avere speranze di guarire. E’ affetta da una malattia genetica rara, degenerativa e incurabile, che la costringe a vivere su una sedia a rotelle e a fare i conti tutti i giorni con dolori fisici e sofferenze psicologiche che definisce «a tratti intollerabili». Ma ciò nonostante chiede, insieme ad altri tre malati irreversibili, come lei non soggetti a un trattamento di sostegno vitale (come interventi farmacologici e tecnologici usati per salvare la vita dei pazienti, ndr), di essere ammessa domani in giudizio davanti alla Corte costituzionale. Per dire no all’abolizione del sostegno vitale dai requisiti di non punibilità del suicidio assistito, sulla cui legittimità costituzionale la Consulta è chiamata ad esprimersi, nel giudizio “Cappato ter”. «Eliminarlo — spiega la donna affetta da una grave patologia che colpisce il cervelletto, l’atassia di Friedreich — significherebbe abbandonarci al dolore e considerare la nostra vita come un bene di serie B rispetto ai soggetti sani, dal momento che la tutela del diritto alla vita resterebbe unicamente affidata alla volontà di vivere».
Volontà che, nei giorni più difficili, potrebbe vacillare. E lì, in quei momenti, quando la forza per andare avanti fa a pugni con il dolore, sapere di poter chiedere un aiuto a morire sarebbe, secondo la 61enne palermitana, «come avere una pistola carica sul comodino». «Chiaramente, sai che non sei costretta a usarla, ma la tentazione di farlo potrebbe essere forte: averla lì davanti a te, con i proiettili pronti, metterebbe a dura prova la capacità di resistere di chi, ogni giorno che
passa, sa che andrà sempre peggio — racconta la donna — È proprio in quegli attimi di crisi che hai più bisogno di conforto. Non di un lasciapassare per la morte».
Russo rispetta la scelta di chi chiede l’aiuto a morire, ma non nasconde i suoi dubbi: «È una decisione condizionata dallo stato di sofferenza psico-fisica». Non cede all’emotività, non si piange addosso ma lotta per il diritto alla vita. «Non c’entra il fatto che io sia credente, non scegliamo di venire al mondo e non scegliamo di morire. La vita c’è e dobbiamo viverla al meglio». Domani in giudizio sarà assistita dagli avvocati Mario Esposito e Carmelo Leotta.