Truffe e furbetti che per anni hanno agito in frode allo Stato, di fatto ottenendo senza diritto i soldi degli italiani. Il Reddito di Cittadinanza è stato questo, e purtroppo anche tanto altro: è stata una misura che, nel suo complesso, ha elargito circa 35 miliardi di euro (si capisce, non pochissimo) in cinque anni di attività, destinata a persone senza impiego con l’intenzione – almeno sulla carta – di accompagnarle alla ricerca di un nuovo lavoro. Inutile dire che la stragrande maggioranza di queste persone neanche per sogno avrebbero rinunciato a una paghetta di Stato per non fare niente al posto di uno stipendio simile ma intriso di ore di lavoro. Una misura pensata male e applicata peggio, insomma, ideata dalle stesse menti brillanti che idearono il Superbonus.
Abbiamo superato finalmente quel periodo, grazie al tempestivo intervento del Governo Meloni che, senza troppa enfasi, eliminò le due misure, sostituendo il Reddito di Cittadinanza con l’Assegno di Inclusione, rivedendo però i requisiti per farne richiesta, e il cosiddetto Supporto per la formazione e il lavoro che accompagna ex percettori e disoccupati nell’ingresso nel mondo del lavoro. La Consulta, però, non è totalmente d’accordo perché pare sia pronta a far tornare per un po’ l’Italia a quel periodo. Con una nuova sentenza, infatti, la Corte Costituzionale ha allargato la platea degli immigrati beneficiari della misura, abbassando il requisito minimo di residenza in Italia per fare richiesta del sussidio: un abbassamento da dieci a cinque anni, di cui almeno due consecutivi. Nella sentenza, si legge che il Reddito “non ha natura assistenziale”, ma si tratta di “una misura di politica attiva per l’occupazione, di carattere temporaneo, soggetta a precisi obblighi e soprattutto a rigide condizionalità che, se disattese, determinano il venir meno del diritto alla prestazione”. Dunque, in risposta ai giudici che avevano sollevato un presunto carattere discriminatorio del requisito di territorialità, la Consulta ha spiegato che questo non sarebbe “una violazione del divieto di discriminazione indiretta e delle relative disposizioni del diritto dell’Unione, che pure vengono in considerazione nella questione in esame”. E infatti queste considerazioni vengono accettate e il periodo di soggiorno si abbassa a cinque anni, allargando notevolmente la platea di nuovi possibili beneficiari.
40 miliardi di euro buttati al vento
E per fortuna, è stato disposto che la percezione del Reddito non sarebbe stata automatica, altrimenti la sentenza sarebbe stata un nuovo colpo per l’erario italiano. Ma comunque, anche considerando chi fece domanda senza averne allora i requisiti (ma adesso, a distanza di anni, sì), le stime sui possibili costi dello Stato non sono proprio rosei: secondo l’Inps sarebbero 850 milioni di euro. Ma le previsioni più drastiche parlano addirittura di 3 miliardi di euro. Altri 3 miliardi di euro, che farebbero schizzare il costo complessivo del Reddito di Cittadinanza, che include già 1,7 miliardi di euro sperperati in truffe, poco sotto i 40 miliardi di euro. L’equivalente, insomma, di quanto è stato tagliato negli ultimi dieci anni in sanità. Quelle risorse, insomma, potevano essere investite meglio, molto meglio, anche considerando il fatto che il Reddito di Cittadinanza non ha provocato lo sperato aumento dei posti di lavoro. Anzi, ha invogliato le persone a non cercare impiego, ha rallentato il mercato del lavoro, e soltanto la sua eliminazione ha consentito un rilancio dell’economia italiana: da quando il Reddito di Cittadinanza non c’è più, i nuovi occupati sfiorano il milione, continuano ad aumentare di mese in mese, il tasso di occupazione ha raggiunto valori mai così alti dal 2004, la disoccupazione è molto più bassi di Stati europei considerati virtuosi, come Francia e Paesi scandinavi. Insomma, non avevano proprio bisogno di una nuova sentenza pro-migranti.