La rivoluzione silenziosa di George Simion: cronache da una Bucarest che non si arrende

Il tempo è bellissimo nella capitale romena, ma l’atmosfera resta stranamente dimessa. È come se il sole non riuscisse a scaldare davvero il cuore di una città che porta ancora addosso i segni di una ferita recente. Le presidenziali annullate dello scorso dicembre hanno lasciato una cappa di diffidenza che si respira ovunque: nei bar, nei corridoi delle istituzioni, nelle strade silenziose di un popolo che non ha dimenticato cosa significa essere traditi dal potere. La Romania è un Paese che ha vissuto la dittatura comunista e che oggi, anche per questo, fatica a fidarsi. Per questo la campagna elettorale di queste settimane non esplode: cova sotto la cenere, come brace pronta a riaccendersi solo se qualcuno saprà davvero far battere di nuovo il cuore del Paese.

In questo quadro si inserisce la diaspora romena, che è una delle più grandi e vitali d’Europa. Si stima che oltre cinque milioni di romeni vivano all’estero, un dato che racconta una storia fatta di partenze spesso dolorose, dettate dalla ricerca di un futuro migliore. Intere generazioni hanno lasciato il Paese per lavorare in Italia, in Spagna, in Germania, nel Regno Unito.

Hanno costruito case, famiglie, comunità, eppure non hanno mai smesso di sentirsi parte della Romania. Questa diaspora è un cuore pulsante, un pezzo vivo della nazione che batte fuori dai suoi confini. Ma troppo spesso è stata trattata come un’appendice scomoda: dimenticata, ostacolata nel voto, marginalizzata nel dibattito politico. Eppure, sono proprio loro, i romeni all’estero, a mandare ogni anno miliardi di euro in patria, a tenere vivo il legame con la lingua e la cultura, a raccontare nel mondo il popolo romeno.

Comprendere la diaspora significa comprendere la Romania di oggi, e chi vuole davvero guidare questo Paese non può ignorarla, né usarla solo in campagna elettorale: deve darle voce, dignità e spazio.

Essere qui a Bucarest per seguire la campagna elettorale di George Simion per La Voce del Patriota è un’esperienza unica, intensa. Lo dico dopo aver vissuto da inviato le ultime tre campagne presidenziali americane negli Stati Uniti e, nel 2019, la campagna di Volodymyr Zelensky a Kiev, quando ero l’unico reporter italiano al seguito di un candidato che, anche allora, veniva snobbato e superficialmente definito “il Grillo ucraino”.

In entrambi i casi ho avuto la sensazione nitida che qualcosa di grande stesse per accadere, e oggi quella stessa sensazione mi accompagna qui, tra le strade di una Bucarest calma ma viva. In questo clima sospeso, quasi irreale, si fa largo la figura di George Simion, leader dell’AUR e candidato alle presidenziali che si terranno il 4 e il 18 maggio. La sua voce è chiara, diretta, spesso ruvida, ma autentica. Parla di patria, di orgoglio e soprattutto di una parola che negli ultimi anni diventata sempre più tabù: sovranità.

E lo fa con un’intensità che non si limita ai palchi o ai comunicati ma che – come nel caso di Zelensky – ha un’eco fortissima online, prevalentemente su Facebook e TikTok. Simion guarda alla diaspora come nessun altro prima: non come un problema, ma come un potenziale. Un popolo sparso per l’Europa, che ha sofferto, che ha costruito, che non ha mai smesso di sentirsi romeno.

Sono milioni i connazionali all’estero, e Simion ha deciso di metterli al centro della sua visione politica. Li incontra, li ascolta, li guarda negli occhi e promette una Romania che non li dimenticherà. Da Torino a Madrid, da Londra a Berlino, ha percorso le rotte dell’emigrazione non per fare passerelle, ma per stringere mani e restituire voce a chi, troppo spesso, ne è stato privato. Le sue parole non sono slogan, ma impegni. Tornare a essere protagonisti del futuro della nazione, creare condizioni per il rientro, difendere i diritti dei lavoratori all’estero, garantire una rappresentanza vera: non promesse, ma basi concrete per un nuovo patto tra Stato e cittadini.

 
 
 
 
 
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Simion ha fatto del rispetto per la democrazia una battaglia personale. L’esclusione di Călin Georgescu dalle elezioni annullate, ufficialmente per presunte ingerenze russe, è diventata per lui il simbolo di un sistema che ha perso la connessione con il popolo. E anziché speculare sulla sconfitta altrui, ha scelto di stringere un’alleanza morale e simbolica con i suoi sostenitori. Hanno celebrato la Pasqua insieme in un monastero, un gesto che dice più di mille comizi: qui non si tratta di nomi o sigle, ma di valori, e chi crede nella sovranità e nella libertà non può permettersi di dividersi.

La sua è una visione conservatrice ma moderna, ispirata da leader come la nostra Giorgia Meloni, che ha dimostrato come si possa difendere la propria nazione senza chiudersi al mondo. Simion non copia, ma ammira chi ha il coraggio di mettere il proprio popolo al primo posto, e lo fa senza cedere a élite e tecnocrazie.

La sua Romania è una nazione fiera e autonoma, che dialoga con l’Europa ma non si piega, che coopera con la NATO ma non si fa trascinare in guerre che non le appartengono. La pace, per lui, non è una bandiera retorica, ma un obiettivo concreto che passa dalla responsabilità, non dalla subordinazione.

A Bucarest splende il sole, ma la vera luce, quella che serve, deve ancora accendersi. Forse, per molti, George Simion è quella scintilla. La sua promessa non è solo politica, è esistenziale: costruire una Romania che non si vergogni più, che non si senta più piccola, che sappia guardare negli occhi i suoi figli e dire loro, ovunque si trovino nel mondo: siete parte di noi.

Con le elezioni presidenziali ormai alle porte, il suo messaggio è semplice e potente: «la diaspora è la nostra voce nel mondo. Insieme, faremo la storia costruendo una Romania di cui tutti possiamo essere orgogliosi».

Una storia che nessuno vi racconta, tranne noi de La Voce del Patriota.

 
 
 
 
 
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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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